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Un ospite illustre arriva, dal 28 ottobre al 15 febbraio 2026, alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, all’interno del programma PTM Andata e Ritorno, che vede giungere in museo importanti opere di altre istituzioni italiane e internazionali ogni volta che un dipinto delle sue collezioni ne esce per raggiungere altre sedi.
L’ospite in questione è Giovan Carlo Doria (1576-1625), esponente della grande casata genovese, mecenate e committente colto e aggiornato che, con la curatela di Gianluca Zanelli e Marie Luce Repetto in collaborazione con Palazzo Spinola, fa irruzione nella Pinacoteca bresciana in sella al suo cavallo, nel maestoso ritratto (capolavoro dei Musei Reali di Genova) che Pieter Paul Rubens (1577-1640) gli eseguì intorno al 1607, dopo aver ritratto, l’anno precedente, il padre Agostino Doria (il dipinto è perduto) e la cognata Brigida Spinola Doria (National Gallery of Art, Washington), ingioiellata come una regina e fasciata in un abito di lucente seta bianca.
La datazione del monumentale (265x188 centimetri), impetuoso ritratto di «Giovan Carlo Doria a cavallo» è suggerita dal fatto che nel luglio 1606 Filippo III di Spagna informò l’Ordine di San Giacomo della sua volontà di conferire le insegne di Cavaliere al nobile genovese, che al riguardo gli aveva inviato una supplica tre anni prima. E sebbene il giovane Doria non ricevesse l’abito prima del 1610 e non prestasse giuramento che nel 1612, non appena ebbe la notizia si fece ritrarre dal maestro fiammingo già con la croce dell’Ordine bene in vista sul corsaletto.
L’opera, che sarebbe diventata un modello per la ritrattistica successiva, rimase a Genova fino al 1838, quando passò al ramo cadetto dei Doria d’Angri di Napoli, che nel 1940 l’avrebbero venduta all’asta. Non prima però che Roberto Longhi, nel 1939, la vedesse lì e riconoscesse, nel folto del fogliame, l’aquila araldica dei Doria.
Il peggio, però, doveva venire: la notifica dello Stato nulla poté di fronte alla volontà di Mussolini di inviare il superbo ritratto ad Adolf Hitler per il museo (il Führermuseum, mai realizzato) da lui sognato per Linz. Sarà Rodolfo Siviero a recuperarlo nel dopoguerra ma, tornato in Italia, il dipinto cambiò più sedi, da Palazzo Vecchio a Firenze al Museo di Capodimonte a Napoli, per approdare solo nel 1988 nelle collezioni di Palazzo Spinola a Genova, sua sede d’elezione.
Magnifica l’invenzione di Rubens di ruotare il gran cavallo dipingendolo non più di profilo, come nel «Carlo V a Mühlberg» di Tiziano, ma frontalmente, come se cavallo e cavaliere irrompessero nello spazio dell’osservatore. Ma non mancano simbologie allora eloquenti, dal modo in cui il protagonista impugna le redini del cavallo, secondo l’usanza spagnola, al cane e al volo di cicogne, che alludono rispettivamente alla fedeltà e alla riconoscenza di Giovan Carlo Doria per la Corona spagnola.
Peter Paul Rubens, «Ritratto equestre di Giovan Carlo Doria», 1606 (il dipinto per intero), Genova, Palazzo Spinola - Galleria Nazionale della Liguria. © MiC – Musei Nazionali di Genova - Palazzo Reale