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Quarant’anni senza interruzioni nello stesso museo, prima come conservatrice, dal 1982 al 1998, poi come direttrice, dal 1999 al 31 agosto scorso, sono una vera rarità ai nostri giorni, quando gli avvicendamenti ai vertici dei musei sono sempre più frequenti. «E dire che io sono un’irrequieta: volevo girare il mondo», sorride Annalisa Zanni, ora che, dal 2 gennaio, può passare la mano alla nuova direttrice, Alessandra Quarto, che lascia il ruolo di soprintendente a Bologna. Per i primi tempi, Annalisa Zanni la affiancherà nelle relazioni istituzionali e internazionali e nei rapporti con i donatori, in un passaggio delle consegne all’insegna della collaborazione: «Sono felice, ci dice, di poter consegnare il testimone a una persona giovane, energica, positiva, empatica, che entrerà sicuramente nello spirito della Casa Museo Poldi Pezzoli, che del resto già conosce bene».
Dottoressa Zanni, affiancando per qualche tempo la neodirettrice, i suoi 40 anni al Poldi Pezzoli aumenteranno ancora...
In realtà, la devo correggere, perché in museo io entrai ben prima del 1982: era il 1974- 75, ero iscritta all’Università degli Studi di Milano e chiesi di partecipare alla sperimentazione sulla didattica nei musei organizzata dall’Università stessa con il Poldi Pezzoli. Fui scelta dalla direttrice, Alessandra Mottola Molfino, una figura fondamentale nella mia formazione, al cui fianco ho lavorato fino al 1998, per realizzare una sezione didattica per studenti della scuola dell’obbligo. Oggi posso dire che un’esperienza simile dovrebbe far parte del curriculum di chiunque voglia lavorare in un museo (e tanto più dirigerlo) perché obbliga a chiarire ogni concetto innanzitutto con sé stessi e a formulare ogni pensiero in modo accessibile al pubblico. Certo, nei musei si studia, si approfondisce, si scoprono sempre nuove cose. Ma dobbiamo avere la consapevolezza dei bisogni di chi si ha di fronte. Non banalizzare mai, ma usare un linguaggio chiaro. E saper ascoltare. Molte volte sono stati proprio i visitatori a indicarci una strada con domande o osservazioni scritte sul «loro» libro. Fermo restando che bisogna confrontarsi sempre con i colleghi. Non va mai dimenticato che noi lavoriamo per il pubblico.
Come sono cambiati i musei dagli anni ’80, quando lei entrò, da conservatrice, al Poldi Pezzoli?
È molto cambiata la percezione del museo perché è cambiato il mondo e di conseguenza il museo. È importante comunicare l’idea che non si viene in museo in modo nostalgico ma per andare avanti: oggi il museo è un luogo vivo, dove si possono fare esperienze molteplici, dalla prima infanzia ai «silver», ai disabili. Nel caso del Poldi Pezzoli resta fortissimo lo spirito del «dono», che apparteneva al fondatore (di cui, lo ammetto, mi sento un clone): bisogna mettersi a disposizione con uno spirito oblativo; essere sempre tesi a fare qualcosa per gli altri. Questo museo attrae persone che condividono lo spirito del fondatore: anche recentemente un ingegnere, Mario Franzini, più che novantenne, ha donato generosamente per ben tre volte. Ma uguale fiducia si è accesa anche con un donatore molto più giovane, che desidera rimanere anonimo. Anche i giovanissimi fanno ben sperare: dopo il lockdown, durante il quale abbiamo usato molto i social, sono arrivati numerosi in museo. Anche i visitatori, alla fine, sono dei «donatori».
In tanti anni, non saranno mancate le difficoltà.
La costante sofferenza di questo museo, al contrario di quelli pubblici (il Museo Poldi Pezzoli è retto da una Fondazione privata, Ndr), è consistita nella mancanza di un’autonomia economica, il che ci ha imposto una grande fatica quotidiana nel reperire i fondi e nel fidelizzare i visitatori. Ho goduto, in compenso, di una grande autonomia pur condividendo sempre, ovviamente, tutti i progetti con il Cda della Fondazione. Molto ha inciso anche l’ingresso nel consiglio delle figure «corporate», che hanno portato una visione «dal mondo». Altri limiti sono gli spazi ristretti e l’esiguità dello staff, che pure è magnifico: al Poldi Pezzoli c’è una grande capacità di pensiero, abbiamo sempre avuto molte idee anche se non siamo riusciti a realizzarle tutte per limiti fisici o per la scarsità di denaro o per l’esiguità, appunto, dello staff. Il che è stato frustrante. Anche perché il nostro spirito è quello degli sperimentatori, di chi crea modelli poi seguiti da altri, com’è accaduto con la collaborazione con il carcere minorile Beccaria di Milano o con l’introduzione della lingua dei segni. Tutte esperienze che vorremmo continuare ma che richiedono un grande investimento di tempo e denaro per essere fatte bene.
Parlava delle difficoltà di bilancio: Gian Giacomo Poldi Pezzoli non aveva lasciato una «dote» in immobili al suo museo?
Gian Giacomo lasciò al museo tutte le sue opere e oggi disponiamo anche, con vincolo pertinenziale, di questa parte del palazzo. Ma il resto del suo immenso patrimonio (ereditato da due zii), andò alla figlia naturale Camilla Gabba Cavezzali e ai parenti materni, la famiglia Trivulzio. Tanto che, nel 1984, Alessandra Mottola Molfino lanciò l’iniziativa della «Dote per il Poldi Pezzoli» che promuovemmo, per primi, anche con una campagna di affissioni in città. Ovviamente, però, i costi sono elevatissimi e ora, in più, si aprirà il problema della sostenibilità delle spese per i consumi energetici.
Al Poldi Pezzoli ha incontrato tanti personaggi di valore. Chi ricorda in modo particolare?
Essere direttore di un museo offre il grande privilegio di poter conoscere persone eccezionali: penso ad Arnaldo Pomodoro, con cui ho vissuto l’esperienza entusiasmante dell’Armeria, da lui progettata con Alessandra Mottola Molfino. Grazie a lui ho imparato a considerare gli oggetti con un altro sguardo: quello dell’artista e della sua visionarietà. Di lì è partita l’esperienza della contemporaneità in museo, grazie alla quale ho avvicinato figure come Pierluigi Cerri, Italo Lupi, il fotografo Toni Nicolini, che hanno donato la loro opera. E poi artisti come Giulio Paolini e Chiara Dynys, collezionisti, grandi famiglie imprenditoriali (Falck, Borletti, Crespi, Marzotto...) che hanno fatto la storia del museo. E uno studioso come Federico Zeri che ha anche donato al museo, al pari della storica del gioiello Melissa Gabardi. Persone eccezionali cui sono grata, perché mi hanno arricchita e guidata nel mio lavoro.

Annalisa Zanni mentre svolge una visita guidata durante i suoi primi anni al Museo Poldi Pezzoli
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