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Giulia Grimaldi
Leggi i suoi articoliL’Emst, il Museo Nazionale d’Arte Contemporanea di Atene, dal 15 maggio al 7 gennaio 2026 presenta la mostra «Why Look at Animals? A Case for the Rights of Non-Human Lives», che offre una profonda indagine etica e filosofica sul difficile rapporto tra uomini e animali.
Curata dalla direttrice artistica del museo, Katerina Gregos, e articolata su quattro piani, la mostra include le opere di 60 artisti, tra i quali Xavi Bou, Art Orienté Objet, Sammy Baloji, Elisabetta Benassi, David Claerbout, Mark Dion e Janis Rafa, ed è ispirata all’omonimo saggio dello scrittore e critico d’arte John Berger del 1980, che riflette su come gli animali siano stati emarginati dalle società umane e sull’imperativo morale di ripensare il nostro rapporto con loro.
E se venisse il dubbio che la scelta di concentrarsi sui diritti degli animali in un momento in cui i diritti umani sono spesso completamente ignorati possa sembrare un modo per evitare le questioni più scottanti del momento, Katerina Gregos dichiara: «Questo stesso pensiero incorpora esattamente il problema della nostra specie: crediamo di essere più importanti di qualsiasi altra cosa sul pianeta. Questo sentimento di superiorità fuorviante ci rende l’unica specie “intelligente” che distrugge lo stesso habitat da cui dipendiamo, oltre a causare danni alle altre forme di vita animale e vegetale non umana con cui lo “condividiamo”. Il fatto che non abbiamo risolto la questione dei diritti umani significa che dobbiamo ignorare l’ambiente? Gli animali? Le piante? Tutte queste cose sono interconnesse e meritano la stessa attenzione».
Mentre la mostra collettiva «Why Look at Animals? A Case for the Rights of Non-Human Lives» funge da fulcro del programma, durante l’anno si alterneranno nell’Emst mostre personali, progetti, installazioni pubbliche, proiezioni ed eventi per promuovere un dialogo sul tema.
La mostra intende mettere in discussione lo specismo (convinzione secondo cui gli esseri umani sono superiori per status e valore agli altri animali, e pertanto devono godere di maggiori diritti, Ndr) per «incoraggiarci a ripensare il nostro approccio gerarchico alla natura, che vediamo come qualcosa da sfruttare, controllare e domare, piuttosto che da rispettare, nutrire e curare», aggiunge Gregos.

Emma Talbot, «Human/Nature», 2025 (particolare). Courtesy of the artist
Per raggiungere questo obiettivo, i 60 artisti hanno lavorato con approcci diversi, chi in modo poetico, chi con una spinta più politica. Per meglio comprendere lo spirito della mostra, la curatrice suggerisce di partire dalle installazioni di Kasper Bosman ed Emma Talbot. «Human/Nature» dell’inglese Talbot è una monumentale installazione tessile in seta dipinta, accompagnata da un film d’animazione in cui una versione dell’artista stessa cerca di dare un senso al mondo, entrando nella mente animale e cercando di capire il mondo visto da prospettive non umane. «The Funny Gaze» di Bosmans è un’opera murale di 30 metri che indaga la storia e lo sviluppo dello sguardo animale-umano sotto forma di processione. L’artista belga mette in evidenza lo sguardo degli animali in una varietà di contesti progettati per loro dall’uomo: lo zoo, il circo e la fattoria, evidenziando non solo il fatto che ci siamo allontanati dagli animali stessi, ma che li «riconosciamo» solo negli habitat artificiali che abbiamo creato per loro al fine di sfruttarli come prodotto, intrattenimento o spettacolo.
In un ambiente appositamente ideato all’interno della mostra il progetto «Stanza sonica» di Joanna Zielinska, curatrice capo del M HKA di Anversa, immerge i visitatori nei linguaggi e nei suoni degli animali (il canto degli uccelli, i richiami delle balene, i versi dei primati e persino il ronzio delle risate dei ratti, insieme alle danze delle api e alle frequenze impercettibili) attraverso il lavoro di artisti del suono e scienziati.
Infine, tra le mostre personali previste lungo l’anno, figurano «Sammy Baloji. Echoes of History, Shadows of Progress» (fino al 2 novembre), sugli effetti dello sfruttamento e dell’estrazione delle risorse minerarie che il Paese d’origine dell’artista, la Repubblica Democratica del Congo, ha subìto durante il dominio coloniale belga che ne ha distrutto le infrastrutture, la cultura e la natura.
In «We betrayed the horses» attraverso un’installazione e nuove opere cinematografiche Janis Rafa esplora, fino al 5 ottobre, i temi del tradimento, del controllo e dell’intimità tra esseri umani e cavalli, riflettendo sullo sfruttamento e sulle relazioni non consensuali.

Uno still dal video «Aequare. The Future that Never Was», 2023, di Sammy Baloji. Courtesy of the artist and Imane Farès, Paris