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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliDopo la grande retrospettiva del Metropolitan Museom of Art di New York nel 2019, l’opera di Vija Celmins è ora esposta alla Fondation Beyeler di Basilea in una monografica, dal 15 giugno al 21 settembre, probabilmente una delle più ampie mostre che un museo europeo ha mai dedicato all’artista statunitense, di origine lettone, voce singolare nel panorama dell’arte contemporanea.
Vija Celmins, nata a Riga nel 1938, si è costruita una carriera fuori dagli schemi. Fuggita con la famiglia dalla Lettonia occupata dai sovietici e passata per la Germania nazista, emigrò negli Stati Uniti nel 1948. A oltre sessant’anni dai suoi esordi, la Fondation Beyeler le rende omaggio, coinvolgendo l’artista nella realizzazione della mostra, curata da Theodora Vischer, chief curator dell’istituzione svizzera, e dallo scrittore e curatore James Lingwood. Sono riuniti circa 90 lavori tra dipinti, disegni, sculture e stampe. Non è solo un’antologica, è anche una rara occasione per avvicinarsi alla pratica artistica, rigorosa e meditativa, di Celmins, artista parsimoniosa che ha realizzato poco più di 200 opere in tutta la sua carriera, e ha sempre rifiutato la spettacolarizzazione.
L’universo visivo di Celmins è fatto di oceani increspati, cieli stellati, superfici lunari, ragnatele, rocce e conchiglie erose dal tempo. Il percorso espositivo si apre sui dipinti realizzati, tra il 1964 e il 1968, nel piccolo studio di Venice Beach, a Los Angeles. Lontano dai colori sgargianti della California e della Pop Art, Vija Celmins dipinge un mondo interiore, ritraendo nature morte domestiche con oggetti d’uso quotidiano come stufe, lampade, piatti, forni, e usando una gamma cromatica ridotta. Si avverte, in questi lavori, l’influenza di Giorgio Morandi e Diego Velázquez, scoperti in un viaggio di formazione in Europa nel 1962. È nelle opere successive che Celmins matura il proprio lessico, lavorando a partire da immagini prese da libri e riviste o da foto scattate da lei. La mostra si sofferma sulle composizioni nate, tra il 1965 e il 1967, basandosi su foto della guerra, e poi, tra il 1968 e il 1992, di paesaggi naturali: le vedute dell’oceano, le superfici lunari, i cieli stellati, le galassie tratte dalle immagini Nasa, i deserti della California e del Nuovo Messico. Del 1977-82 è «To Fix an Image in Memory (I-XI)», una scultura composta da undici sassi raccolti nel deserto del Nevada e 11 copie in bronzo dipinte a mano in modo da renderle indistinguibili. Negli anni Novanta Celmins comincia a interessarsi alle ragnatele, affascinata dalla loro geometria naturale, e nasce una nuova serie di disegni a carboncino e dipinti in cui le tele diventano trappole visive, evocando l’effimero e l’eterno. La mostra della Beyeler si chiude su una serie di lavori recenti, di grande formato, immagini minimaliste, silenziose, di fiocchi di neve illuminati che cadono in un cielo scuro.

Vija Celmins, «Clouds», 1968. © Vija Celmins, Courtesy Matthew Marks Gallery. Photo: McKee Gallery, New York

Vija Celmins, «Night Sky No16», 2000-01. © Vija Celmins, Courtesy Matthew Marks Gallery. Photo: Katherine Du Tiel