Palazzo Corsini ogni due anni, a settembre, si trasforma in un prezioso scrigno di cose preziose, ed anche quest’anno la tradizionale biennale dell’antiquariato propone attraverso gli 80 espositori quanto di meglio possa offrire il mercato italiano dell’arte. I dipinti, d’ogni epoca e dimensione, dominano la scena, probabilmente circa il 90% dei lotti esposti appartengono alla categoria delle arti figurative mentre tutto ciò che appartiene al pur vasto mondo delle arti decorative è compreso in una minima parte. Vogliamo occuparci di questa fetta di mercato che comprende «solo», mobili, porcellane, maioliche, argenti, tappeti, arazzi, armi, oggetti da wunderkammer, e da schatzkammer, orologi, libri, cioè quelle tipologie che, per molti motivi diversi, sono state messe in questo ultimo decennio in un angolo dal mercato. Quindi innanzitutto un sentito «in bocca al lupo» a tutti quei mercanti che hanno avuto la perseveranza, e forse anche il coraggio, di proporre al pubblico delle opere d’arte che non sono appese ad un chiodo! Cominciamo dai mobili, che nel secolo scorso erano i protagonisti assoluti delle mostre di antiquariato e tra questi il mobile principe, sogno di tanti borghesi facoltosi, era il «trumò» che veniva sempre presentato in numerosi esemplari, veneziani, lombardi o romani; da Secol-art (stand n. 35) è presentato un ottimo esempio di questa tipologia, che negli antichi inventari era indicata come: cassettone con scrivania e libreria al di sopra, laccato a chinoiseries in oro, su fondo rosso con cornici in verde marmorizzato.
A fianco, nello stesso stand, si fa notare un piccolo ed elegante tavolino neoclassico, impiallacciato e intarsiato in legni di frutto, nella maniera di Maggiolini, ma con stampigliatura di dell’ebanista G.B.M, che presenta orgogliosamente sul piano superiore lo stemma del conte Agostino Casati. Un bureau (cassettone con ribalta) veneziano in lacca rossa e crema arricchito da decorazioni floreali policrome, arabeschi e volute con terminali fogliati, mosso sul fronte e sui lati viene proposto da Attilio Cecchetto (stand n. 79). È caratterizzato dalla presenza di una specchiera in legno dorato, con doppia cornice e volute e rocailles intagliate, nata insieme col mobile intorno alla metà del settecento. La presenza di una specchiera dedicata è cosa piuttosto inusuale che è valsa la pubblicazione di questo importante insieme su un saggio di A.Gonzales-Palacios, nel 1986, il mobile di corte italiano, allegretto Rococò. Nello stand numero 1, di Gian Enzo Sperone, si fa notare una credenza a due ante di tipologia classica, ma eseguita solo nel 2023, in legno carbonizzato, rovere e resina, disegnata e realizzata da Leonardo de Bortoli e Luca Fiorini, due giovani artisti e restauratori di Torino che si distinguono per la capacità di dare nuova vita al legno antico, realizzando prodotti classici, creando così un legame tra passato e presente. Esperimento coraggioso, ma che sotto l’ala protettiva di Sperone, siamo certi che potrà avere un interessante futuro.
Un cassettone stampigliato da Henry Thomas Peters e presentato da Callisto Fine Arts (stand n. 38) racconta una storia interessante, infatti sul fronte è orgogliosamente intarsiato lo stemma araldico della città di Genova: lo scudo rossocrociato con la corona comitale ad sopra e sorretto da due dragoni. Nel primo cassetto sono inseriti due medaglioni in ottone con i ritratti di Diderot e D’Alambert e la scritta «buoni - amici». Si tratta probabilmente di un raffinato messaggio di protesta, infatti il Peters era un convinto mazziniano, e la presenza del ritratto dei due «philosophes», campioni dell’illuminismo e della libertà, e dello stemma della città ligure era probabilmente un modo per mostrare la contrarietà del committente all’annessione della Superba al regno di Sardegna del 1814. Questo mobile fu presentato all’Esposizione del Congresso degli Scienziati che si tenne a Genova nel settembre del 1846. L’orologio notturno presentato da Brun Fine Art (stand n. 42) in ebano e pietre dure, con al centro il dipinto su rame raffigurante l’Immacolata tra nubi ed angioletti, è un superbo esempio di questo genere di orologi tipicamente romani ed eseguiti nei secoli XVII e XVIII. Quello presentato è caratterizzato da una struttura architettonica particolarmente elaborata, molto simile a quella di altri due esemplari collocati l’uno nei Musei Capitolini di Roma, l’altro a Palazzo Rosso di Genova; uno studio approfondito di Roberto Valeriani accompagna l’opera.
Passando al lato «fragile» della mostra, segnaliamo innanzi tutto il piatto in maiolica istoriata, di grande diametro, eseguito ad Urbino nel 1539 da mastro Giorgio Andreoli e proposto da Altomani & Sons (stand n. 24). La scena dipinta al recto raffigura l’episodio di Marco Curzio che salta nel baratro per salvare Roma, in un cartiglio c’è l’iscrizione: «Pr[e]cipitai qua drento, co[n] me fama (?), / Sapendo Certo la morte aquistar[e] / per liberar mia sco[n]solata Roma». Molto interessante è anche il verso del piatto, reso con volute fogliate a lustro di rubino intorno alla data centrale. Quest’oggetto condivide una storia comune con molte altre opere preziose confiscate dai nazisti e che furo poi rese ai legittimi proprietari. Infatti è dimostrato che fu requisito al barone Édouard de Rothschild (1868-1949) a Parigi nel maggio 1940. Recuperato poi dai Monuments Men nelle miniere di sale di Altaussee, in Austria, fu restituito alla famiglia Rothschild; che poi lo vendette a New York nell’ottobre 2023, alla Sotheby’s. Da Leone (stand n. 43), ad opera della manifattura della Real Fabbrica Ferdinandea è esposta una tazza da puerpera col relativo piatto, realizzata in porcellana policroma a oro con rilievo di assoluta rarità. Nel cavetto è dipinta l’imperatrice Maria Teresa mentre altri illustri membri della famiglia reale sono raffigurati «a cameo» sul coperchio. La marca N coronata, in rosso certifica l’esecuzione a Napoli nel periodo 1803-1806. Altri fragili lussi sono nello stand numero 13 di Burzio. Si tratta di una coppia di appliques, con doppio portacandela, realizzate in maiolica policroma «a gran fuoco» con decorazione a fiori e frutta, in blu e giallo, dalla manifattura Ferniani di Faenza, probabilmente attorno al 1740, dipinte da Nicolas Letourneau o Nicolò Recagni.
Ancora da Burzio fanno bella mostra di sé una coppia di doppieri in bronzo dorato e cesellato, realizzati secondo i più puri dettami dello stile rococò, con profusione di rocailles, attribuibili alla mano di Francesco Ladatte, argentiere e bronzista attivo a Torino nel pieno Settecento. Raffinatissimo è il presse-papier in porcellana e bronzo dorato con riproduzione dei mosaici più noti rinvenuti nella Casa del Fauno di Pompei, che era stata portata alla luce nel 1830 circa, dipinti dalla mano di Raffaele Giovine e presentato da Alessandra di Castro (stand n. 14). Raffaele Giovine proprio in quegli anni installava una sua manifattura nell’antico convento di San Carlo alle Mortelle dove era addetto alla manutenzione del vasellame di corte. Il Giovine partecipò a varie Esposizioni a partire dal 1826 e dipinse per il Re e per la sua corte numerosi oggetti di porcellana come vasi, fioriere, bacili, ed un famoso servito di 200 piatti con le vedute del regno delle Due Sicilie. Per rimanere nell’ambito degli objects de vertu di gusto neoclassico, segnaliamo ancora da Leone il piccolo calamaio in marmi e pietre dure con applicazioni in bronzo dorato, col portacandela in bronzo dorato fissato al centro del coperchio. Nella fascia verticale, suddivisa in dieci lati sono applicate piccole maschere del teatro romano in pietre semipreziose, ognuna diversa dall’altra. Si può ipotizzare la mano di Giacomo Raffaelli, celebre fornaciaro romano a cui si attribuisce intorno al 1775 l’invenzione del mosaico a microtessere. Al mondo delle wunderkammer appartiene di diritto l’alzata in smalto bianco, azzurro e blu, con profilature in oro, con baccellature a spirale, eseguita a Venezia tra Quattro e Cinquecento, proposta da Altomani & Sons (stand n. 24). Anche questo oggetto apparteneva alla famiglia Rothschild e fu restituito, fortunatamente in splendide condizioni, nel 1946.
La colomba, eseguita probabilmente negli atèliers di Limoges nel primo terzo del XIII secolo in rame cesellato, inciso e dorato con decori in smalti policromi a forma di piume e arabeschi fioriti, arricchita da pietre di colore, presentata da Leone (stand n. 14) è un altro oggetto che dovrebbe trovare collocazione in una raffinata collezione di opere medievali. Queste colombe, simboli dello Spirito Santo nella dottrina cristiana, erano chiamate eucaristiche perchè nel cavo del corpo venivano riposte le ostie consacrate; se ne conoscono diversi esemplari tutti simili tra loro, con minime differenze riscontrabili nell’apertura delle ali e nei colori, conservati al Rijksmusem al Louvre, Museum of Fine Arts di Boston, ma quella più simile a quella ora a Firenze è conservata al Musée du Cluny. Infine segnaliamo il «capezzale» trapanese presentato da Carlo Orsi (stand n. 2), in rame dorato, corallo, madreperla, avorio, ambra e pietre dure, alto 70 centimetri, eseguito nella prima metà del Settecento. La struttura, romboidale, presenta una doppia cornice, quella esterna, più ampia è decorata da volute in madreperla e fiori di corallo mentre quella interna, oltre alle girali ancora in madreperla e corallo è decorata con quattro scene della vita della Vergine, in avorio raffiguranti la Nascita, la Presentazione al Tempio, la Visitazione e l’Assunzione, al centro invece, in ambra, sono le figure, a tutto tondo, di angeli e della Madonna Assunta. Opera fuori dal comune per ricchezza e qualità tecnica, già più volte esposta e pubblicata.
La vendita, che si è svolta il 26 e il 27 novembre nelle sale della nuova sede parigina di Sotheby’s, ha registrato il 60% dei lotti venduti e una cifra complessiva di circa 9,5 milioni di euro diritti compresi
L’asta parigina di arti decorative di Christie’s («The Exceptional Sale») ha ottenuto un buon risultato con molti lotti che hanno abbondantemente superato le stime della casa
Le dinastie reali fecero a gara nell’offrire opere, spesso di valore inestimabile, alla Basilica del Santo Sepolcro. Oltre 100 oggetti sono ora visibili nel Museo Marino Marini di Firenze prima di trovare collocazione nel Terra Sancta Museum
C’era una volta un guru dotato di poteri occulti. Oggi è un signor professionista, spesso laureato in storia dell’arte, con la possibilità (nella bottega di un tempo impensabile) di vedere e confrontare un’enorme quantità di opere e di fornire certificati di autenticità