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Gianfranco Fina
Leggi i suoi articoliL’asta della Collezione Appendino che Wannenes propone il 27 maggio a Genova una trentina d’anni fa avrebbe fatto tremare il cuore collezionistico della regal Torino. Tutti i «presidenti» (di banche, di industrie primarie di ogni tipo, di fondazioni e musei privati), tutti i collezionisti e naturalmente tutti gli antiquari della città avrebbero partecipato a questa vendita che sarebbe stata facilmente definita come epocale. Le stime di base sicuramente sarebbero state molto più alte di quelle che sono ora riportate sul catalogo e sicuramente il finale avrebbe presentato un sold out con cifre record, dove i vari competitori sarebbero stati ben orgogliosi di avere comprato questo o quell’oggetto ad un prezzo «folle» di cui vantarsi con gli amici per gli anni a venire. Naturalmente ci auguriamo un analogo risultato anche oggi, perché se oggettivamente il numero dei collezionisti torinesi di arte piemontese, per intenderci quelli che compravano col cuore, è notevolmente diminuito, quello invece degli acquirenti stranieri, privati o musei che siano, ossia quelli che comprano col cervello, è molto aumentato. La qualità degli oggetti è altissima, l’autenticità e lo stato di conservazione altrettanto, la logica che ha formato la collezione è precisa e determinata, il tema collezionistico è condotto senza sbavature o cadute di stile; nella sostanza si tratta di un insieme perfettamente armonico che ci auguriamo possa destare l’interesse di molti competitori intelligenti. Spieghiamo quindi chi è il collezionista che ha saputo creare questo corposo insieme di opere d’arte torinesi: Guido Appendino, dentista di professione, collezionista per vocazione, era negli anni ’60 un giovane con le idee molto chiare quando, circa trentenne, è capitato nella galleria dell’antiquario Pietro Accorsi e, con umiltà unita a forte determinazione, è riuscito a diventarne non solo uno dei clienti migliori, ma anche uno dei pochi veri amici del mercante di così tanti anni più anziano di lui. All’epoca Accorsi era conosciuto in Italia e in Europa per proporre merce antica di qualità e di provenienza per lo più aristocratica, dotato di una vastissima clientela, ma dal carattere difficile, molto piemontese, poco empatico. Appendino era riuscito a sfondare quel muro di riservatezza sabauda e ad ottenere un posto privilegiato tra i clienti del vecchio antiquario che evidentemente un po’ alla volta l’aveva preso in simpatia riservandogli le migliori opere d’arte piemontese che entravano in galleria. Così è riuscito a costituire nel tempo un insieme che comprende oltre cinquanta maioliche delle manifatture torinesi, quasi un centinaio di rare porcellane delle manifatture di Vische e di Vinovo, alcuni raffinati mobili di ebanisti torinesi e infine una trentina di dipinti dei massimi pittori operanti nel Settecento a Torino, oltre a qualche decina di oggetti di contorno di varie provenienze e tipologie, ma tutti perfettamente integrati nello stile e nello spirito sabaudo di cui è permeata tutta la collezione.

Pietro Domenico Olivero, «Allegoria dell'Arte e della Guerra». Courtesy Wannenes
Forse l’insieme più spettacolare è l’insieme di cinque dipinti di Pietro Domenico Olivero (Torino 1679-1755) raffiguranti le allegorie di arti e mestieri, facenti parte della stessa serie, ognuno di 151x113 cm e stimati 15mila-24mila euro ognuno. I soggetti sono: la Scultura, la Pittura, l’Architettura, l’Arte della Guerra, i Mestieri; con dei titoli di così ampio respiro l’autore ha potuto creare delle scene piene di personaggi in attività, con gustose scenette di vita quotidiana, il tutto inserito in un contorno di paesaggi fantastici, composti sia di antiche rovine, sia di nuove costruzioni. Non è azzardato definirli i capolavori di questo artista. Wannenes naturalmente deve vendere la merce a disposizione nel migliore dei modi senza indulgere in inutili romanticismi; quindi, l’idea di separare la serie è certamente dolorosa, ma sicuramente la migliore per ottimizzare la vendita. Possiamo consolarci pensando che invece di un solo collezionista orgogliosissimo del poter vantare una serie pressoché unica ci sarà la possibilità per cinque collezionisti diversi di possedere un’opera di qualità museale. Questo gruppo di dipinti dell’Olivero è ampiamente documentato sia in una rara pubblicazione del 1973 di Luigi Mallé, mitico direttore del museo di Palazzo Madama di Torino, sia nell’opera I Piaceri e le Grazie del 1993 di Arabella Cifani e Franco Monetti, ma non sono mai apparsi in una mostra pubblica, quindi possono definirsi quasi inediti. Per restare nei grandi nomi della pittura piemontese ricordiamo che in asta sono presenti ben tre «nature in posa» di Michele Antonio Rapous, di cui una di grandi dimensioni (82x106 cm) ricchissima di fiori e frutti di vario genere, che è proposta a 4mila-6mila euro, cifra che ci auguriamo venga grandemente superata nel corso della vendita. Poteva mancare in questo insieme l’artista di maggior successo del pieno Settecento torinese cioè Vittorio Amedeo Cignaroli? Ovviamente no perché ne sono presentati ben 7 esemplari con tre coppie ed uno singolo, ma che comunque verranno venduti singolarmente, i prezzi variano da un minimo di 2mila euro caduno per quelli di dimensioni inferiori fino al massimo di 12mila euro caduno per quelli più grandi. I soggetti variano dalle rare e raffinate scenette bibliche come «La figlia di Jefte» e «Abigail incontra Davide» a quelli più tradizionali con sereni paesaggi primaverili con fiumi, ponti, contadini, rondini e giocatori di bocce, tutti perfettamente inquadrati con cornici scolpite e dorate, apoteosi del rococò torinese.

Figura in biscuit, Manifattura di Vinovo, periodo Gioanetti, 1780-1815 rappresentante l’Immacolata con il Bambino.Courtesy Wannenes
Chi ama la porcellana torinese nell’asta di Wannenes troverà una quantità e qualità di oggetti incomparabile con qualsiasi altra raccolta privata ora esistente. Per i più raffinati collezionisti sono presentate tre tazze da sorbetto a forma di foglia e a due tazze da caffè della manifattura di Vische, che ebbe vita brevissima: solo tre anni tra il 1765 ed il 1768, (lotti n. 56 e n. 57); molta più scelta invece l’offrono le opere dell’altra ben più nota manifattura torinese del Settecento: quella di Vinovo. Si può spaziare tra gli esemplari eseguiti nel triennio 1776-79, quello gestito da Pierre Antoine Hannong, tra cui una grande zuppiera completamente bianca (n. 58), o il servizio da viaggio (n. 71) composto da due caffettiere una lattiera 4 tazze e la zuccheriera, conservato in un elegante cofanetto da viaggio, alle decine di opere di ogni forma, decorazione e tipologia eseguite sotto la gestione di Vittorio Amedeo Gioannetti che dal 1780 proseguì la produzione della fabbrica di Vinovo, con alterne fortune, fino al 1815. Tra questi segnaliamo il servizio da caffè (n. 115) composto di soli quattro pezzi cioè lattiera, teiera, zuccheriera e tazza dove tra la decorazione a festoni su fondo bianco e l’insolita parziale coloritura verde smeraldo, spicca l’aquila con scudo sabaudo in petto che indica la destinazione regale del tutto. Anche la tipologia delle figurine, singole o a gruppi con più personaggi è ben rappresentata nella vendita genovese, sono infatti presenti esempi del periodo Hannong sia altri del periodo Gioannetti, ma particolarmente rari sono due gruppi di maggiori dimensioni: quello della Vergine con la madre Elisabetta, alto 33 cm, in porcellana bianca, ma di raffinata eleganza compositiva (n. 128) con la stima 2.600-2.800 euro, e la «Madonna con Bambino», un biscuit di oltre 40 cm di altezza (n. 129) realizzato dal plasticatore Giovanni Lomello, proposto a 4mila-6mila euro. Ampia scelta anche tra le maioliche torinesi, qui il nome di riferimento è quello di Giorgio Giacinto Rossetti che nella prima metà del Settecento ebbe un’ampia produzione di maioliche da tavola, decorate sia in bianco e blu sia policrome e che si caratterizzano per la fantasia e l’allegria che trasmettono. Di queste c’è ampia scelta: una quarantina di piatti rotondi di varie dimensioni e decorazione, una ventina di ovali e poi zuppiere, brocche, acquasantiere ed albarelli che possono soddisfare ogni esigenza collezionistica, tra tutti segnaliamo la grande zuppiera policroma (n. 19), di forma particolarmente movimentata che è offerta alla base di 3mila-4mila euro. Per i nostalgici amanti della bella ebanisteria torinese è interessante la commode a demi lune, impiallacciata di legni di frutto e piano in marmo fior di pesco (n. 177) proposta a 3mila-4mila euro di cui ipotizziamo la mano di Giuseppe Viglione e la coppia di poltrone (n. 173) dalle forme fortemente mosse, in legno scolpito e dorato che hanno la base di mille-2mila euro. Chiude l’asta un dipinto che parrebbe essere fuori tema, ma in realtà ha una intima connessione con l’anima del collezionista: una grande tavola cuspidata rappresentante San Antonio Abate su fondo oro, opera attribuita al maestro Guglielmo Fantini, raro artista del Quattrocento piemontese, attivo soprattutto a Chieri, cittadina natale di Guido Appendino.
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