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Per inaugurare il suo progetto triennale di mostre, Stefano Raimondi, dallo scorso settembre direttore del Mac di Lissone (oltre che, dal 2010 direttore artistico di The Blank Contemporary Art, Bergamo, e dal 2020 di Art Verona), ha scelto Alice Ronchi, giovane artista che grazie alla ricca collezione d’arte del ’900 conservata nel museo (frutto dello storico Premio Lissone) e dei grandi spazi dell’istituzione, ha potuto realizzare un progetto che coltivava da tempo: ridare voce e luce a opere del recente passato che vivevano in penombra, dimenticate dal pubblico.
Come ha spiegato l’artista (Ponte sull’Oglio, Pc, 1989), «la chiave di lettura dell’intero progetto non risiede unicamente nella selezione delle opere bensì nel mio desiderio di portarle con me lungo tutti i piani del museo, di trasferirle dai depositi e dal piano interrato, dove attualmente la collezione del Premio è esposta, e di condividere quel luogo alla pari, attivando un nuovo e inedito dialogo, onorando la sua storia». Per farlo, è entrata lungamente in contatto con le opere (soprattutto quelle degli anni tra il 1946 e il 1967, quando il Premio e la città vivevano il loro momento più intenso) e ha consultato archivi e cataloghi, entrando «in intimità» con esse.
Le ha poi poste a dialogare con i suoi lavori in tutti e quattro i piani del museo e ha intitolato suggestivamente la mostra, curata dallo stesso Stefano Raimondi, «Amami Ancora» (dal 18 febbraio al 19 maggio). Nel percorso, oltre a un nuovo lavoro, ha esposto sue opere ben note e altre rimaste lungamente nello studio, ponendole a confronto con quelle del Mac di Claude Bellegarde, Cheval-Bertrand, Peter Brüning, Giorgio De Chirico, Piero Dorazio, Gino Meloni, Achille Perilli, Mario Schifano, Eugenio Tomiolo e altri.
Ha composto un percorso ascensionale che dalle opere cupe di Peter Brüning e Piero Ruggeri, poste nell’interrato, si apre progressivamente alla luce, componente fondamentale del suo lavoro e, per enfatizzarlo, le grandi vetrate del museo sono state liberate dalle pellicole oscuranti che le ricoprivano e sono stati riaperti i punti di luce che nel tempo erano stati oscurati, restituendo a quell’architettura la luminosità intensa con cui era stata progettata: «un museo di luce», come lo definisce Raimondi, che insieme all’amministrazione della Città intende fare nuovamente di questo luogo un centro di ricerca sulla migliore giovane arte. E poiché l’artista, che è docente alla Naba-Nuova Accademia di Belle Arti, ama molto tenere dei workshop per i bambini, sarà lei stessa a sviluppare le iniziative didattiche per le scuole.
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