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David Landau
Leggi i suoi articoliFrank Gehry, uno degli architetti più influenti e celebrati del nostro tempo, è morto ieri nella sua casa di Santa Monica,in California, all’età di 96 anni, dopo una breve malattia respiratoria. A comunicarlo è stato il capo del suo staff. Nato a Toronto nel 1929 come Frank Owen Goldberg e naturalizzato statunitense, Gehry è stato il progettista che più di ogni altro ha saputo trasformare l’architettura in un linguaggio scultoreo, capace di ridefinire identità urbane, economie locali e immaginario collettivo. Il suo nome è legato alla nascita del cosiddetto Bilbao Effect: con il Guggenheim Museum (1997), Gehry ha dimostrato come un edificio potesse rigenerare un’intera città, generando flussi turistici, attenzione internazionale e un nuovo modello di sviluppo urbano. Bloomberg ricorda come quell’intervento abbia cambiato radicalmente il rapporto tra architettura e politiche territoriali. Ma Bilbao è solo uno dei nodi di una carriera ricchissima. La Walt Disney Concert Hall di Los Angeles – un’icona di acciaio curvilineo, luminosa e complessa – è considerata una delle sale da concerto acusticamente più raffinate al mondo. A Berlino, la DZ Bank Building integra scultura e struttura con una naturalezza sorprendente; a Parigi, la Fondation Louis Vuitton porta all’estremo la tensione tra volume, luce e trasparenza.
Guggenheim, Bilbao
Fondation Louis Vuitton, Parigi
Una libertà formale radicale, un uso intuitivo e innovativo dei materiali, la capacità di trasformare edifici in organismi dinamici, quasi animati. La sua ricerca – spesso etichettata come decostruttivista, un termine che lui stesso ha sempre maneggiato con cautela – ha unito ingegneria avanzata, sperimentazione digitale e una sensibilità artistica fuori dagli schemi. Cresciuto tra modelli di cartone costruiti con la nonna e un immaginario alimentato dall’arte contemporanea, Gehry ha sempre detto di progettare «a mano», lasciando che il gesto anticipasse la matematica. I suoi studi hanno poi tradotto quelle forme libere in costruibilità, anticipando l’uso dei software parametrici e di tecniche ingegneristiche che sarebbero diventate standard negli anni successivi. Nato Frank Owen Goldberg in una famiglia ebraico-polacca, emigrò negli Stati Uniti negli anni Quaranta e studiò architettura a Los Angeles e poi ad Harvard, dove entrò in contatto con l’urbanistica modernista. Dopo un inizio professionale relativamente convenzionale, negli anni Settanta iniziò a sperimentare linguaggi più liberi e materici: celebre la sua stessa abitazione di Santa Monica, laboratorio di un’estetica «grezza», fatta di lamiera ondulata, legno e frammenti industriali.
DZ Bank Building, Berlino
Negli anni Ottanta e Novanta, grazie all’uso pionieristico di software digitali e a un approccio scultoreo alla forma, Gehry sviluppò il linguaggio dinamico e fluido che lo rese un punto di riferimento mondiale. Il Guggenheim Museum di Bilbao (1997) lo consacrò come maestro capace di trasformare l’architettura in catalizzatore urbano ed economico; seguirono la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, la DZ Bank Building a Berlino, il Museo Biomuseo a Panama e la Fondation Louis Vuitton a Parigi. La sua pratica ha unito intuizione artistica, innovazione tecnologica e ingegneria avanzata, anticipando strumenti progettuali oggi comuni. Premio Pritzker nel 1989, Guggenheim Fellow e protagonista di mostre nei maggiori musei del mondo, Gehry ha insegnato in numerose università e collaborato con artisti, musicisti, coreografi e istituzioni culturali. Fino agli ultimi anni ha guidato il suo studio, Gehry Partners, continuando a immaginare architetture come organismi vivi, capaci di modificare lo spazio e la percezione. Considerato «il più celebrato architetto del suo tempo», Gehry lascia un’eredità che ha ridefinito l’idea stessa di edificio pubblico e il rapporto tra forma, città e esperienza.
Le case danzanti, Praga
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