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Alessia De Michelis
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Per la prima volta Marsiglia ospita una monografica dedicata ad Alberto Giacometti. La mostra (fino al 28 settembre), organizzata dal Musée Cantini in collaborazione con la Fondation Giacometti, riunisce oltre cento opere (sculture, dipinti, disegni, stampe) attorno a un tema cruciale nella sua poetica: il vuoto.
«Un modo di vivere lo spazio», così definì la sua opera lo scrittore Jean-Paul Sartre. Ed è proprio lo spazio (mentale, fisico, metafisico) a guidare il percorso espositivo. Dalle dense forme cubiste degli anni Venti come in «La coppia» (1926) e «La donna cucchiaio» (1927), si passa al periodo surrealista con opere visionarie nate da sogni e stati allucinatori: «Il palazzo alle 4 del mattino» (1932), «Fiore in pericolo» (1932) e «Oggetto invisibile» (1934-35).
Nel dopoguerra Giacometti torna a indagare la rappresentazione della figura umana, spingendola al limite dell’essenzialità. Sagome filiformi, isolate eppure drammaticamente presenti, sembrano fluttuare nello spazio: «Il naso» (1949), «Donna alta I» (1960) e minuscole sculture come «Figurina molto piccola» (1937-39) raccontano la sua ricerca sul rapporto tra presenza e distanza.
Chiude la mostra una sezione che accosta disegni e stampe a documenti d’archivio, oggetti d’arte africana, oceanica e precolombiana, provenienti dalle collezioni del Musée d’Arts Africains, Océaniens et Amérindiens di Marsiglia, un «museo immaginario» che svela le fonti, anche inconsce, dell’universo giacomettiano.