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Giambattista Tiepolo, «Il giudizio finale», ante 1747, Collezione Intesa Sanpaolo

Crediti fotografici: Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo. Photo: Valter Maino, Vicenza

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Giambattista Tiepolo, «Il giudizio finale», ante 1747, Collezione Intesa Sanpaolo

Crediti fotografici: Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo. Photo: Valter Maino, Vicenza

A Cellatica un dialogo tra Giambattista Tiepolo e Giovanni Antonio Pellegrini

La mostra dossier nasce da uno scambio d’opere tra Casa Museo Zani e Collezione Intesa Sanpaolo e in seguito al restauro di due opere della Chiesa di Sant’Agata a Brescia

Ada Masoero

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Giambattista Tiepolo (Venezia, 1696-Madrid, 1770) e Giovanni Antonio Pellegrini (Venezia, 1675-1741), protagonisti entrambi della pittura veneziana del Settecento, entrambi contesi dalle corti europee, sebbene la fama del primo abbia varcato più vigorosamente i secoli, sono al centro della mostra dossier «Tiepolo e Pellegrini. La luce nella pittura veneziana del Settecento», presentata dal 12 dicembre al 6 aprile 2026 nella Casa Museo Zani di Cellatica, appena fuori Brescia, dove si conserva una moltitudine di tesori di pittura, scultura e arti decorative barocchi e rococò, e si tengono progetti espositivi di diversa natura, tutti legati però al filo che seguì Paolo Zani (1945-2018), importante imprenditore bresciano, nel formare una raccolta tanto selezionata da sedurre anche uno storico dell’arte severo come Álvar Gonzáles Palacios. La collezione è conservata nella villa dove Paolo Zani viveva con la famiglia, oggi gestita dalla Fondazione Paolo e Carolina Zani, intitolata anche alla figlia prematuramente scomparsa (1990-2017). Ed è qui che si dipana la mostra, frutto di una duplice, felice occasione: da un lato l’accordo stretto dalla Fondazione con Collezione Intesa Sanpaolo, che ha concesso in prestito alla Casa Museo Zani «Il giudizio finale» (ante 1747) di Giambattista Tiepolo, conservato in Palazzo Leoni Montanari, prima sede delle Gallerie d’Italia Vicenza; dall’altro il restauro, finanziato dalla Fondazione Paolo e Carolina Zani, di due tele di Pellegrini («Elia e l’Angelo» e «Davide riceve i pani di Achimelech», 1724 ca entrambe), provenienti dalla Cappella del Santissimo Sacramento della chiesa bresciana di Sant’Agata.

Con questi, sono in mostra i dipinti di Tiepolo «Bacco e Arianna» (1730-35) e «Testa di vecchio» (1743-45 ca; parte della nota serie dei «Filosofi» dipinta da Giambattista e dai figli), entrambi della Collezione Zani.  Tanto «Il giudizio finale» quanto il «Bacco e Arianna» di Tiepolo sono bozzetti preparatori su tela (il primo di grandi dimensioni: due metri di base) per affreschi da soffitto (lo provano gli spettacolari sottinsù) che sono andati perduti o che non furono mai realizzati. Il primo, pubblicato per la prima volta con quest’attribuzione nel 1933 da Ettore Modigliani, è un’opera della maturità del maestro veneziano, documento della felicità d’invenzione e di composizione di Giambattista Tiepolo, che attraverso la luce crea qui due distinte sfere: in alto, in una luce d’oro, quella divina, con il Cristo giudice e le schiere degli angeli, in basso, sul ciglio di una nera voragine abitata da serpi e demoni, quella terrena e infernale. Il «Bacco e Arianna» Zani, non meno vertiginoso di questo, seppure meno affollato, immerso anch’esso in una luce dorata, sarebbe invece da ascrivere a un’età più giovanile, dopo che Tiepolo ebbe concluso gli affreschi milanesi di palazzo Archinto (1730-31) e di Palazzo Casati-Dugnani (1731).

Vera primizia della mostra sono i due grandi ovali (171x124 centimetri) di Pellegrini, ora finalmente leggibili dopo il restauro promosso dalla Fondazione Zani, che ha rivelato gli effetti luminosi e la cromia vibrante tipica di questo pittore formatosi nella Venezia di Sebastiano Ricci e nella Roma del Baciccia e di Luca Giordano, che avrebbe inciso sulla pittura di molti artisti francesi e inglesi del Settecento, oltreché su quella della cognata Rosalba Carriera.

Uniche sue commissioni accertate a Brescia, le due tele di Sant’Agata, raffiguranti «Davide riceve i pani da Achimelech» e «Elia e l’Angelo», mostrano ora più che mai il forte contrasto che li oppone al severo classicismo della pala del veronese Antonio Balestra della Cappella del Santissimo Sacramento (dove torneranno), per effetto di quei loro colori ritrovati, tersi e sfolgoranti, liberati dall’ingiallimento delle vecchie vernici e dai depositi lasciati dal tempo. Spiegano dallo Studio Casella di Brescia, cui si deve il restauro, che l’intervento «ha avuto come finalità primaria la restituzione della brillantezza dei colori settecenteschi, con un’accurata pulitura della superficie pittorica, oltre a un’applicazione di innesti di tela per colmare alcune lacune, poi prontamente stuccate. Le due tele sono state poi sottoposte alla fase delle “temperine testurizzanti”, necessaria alla ricreazione della texture della superficie pittorica, che ha permesso di avviare l’importante integrazione cromatica, eseguita nel rispetto dell’originalità delle opere stesse».

Giovanni Antonio Pellegrini, «Elia e l’Angelo», Brescia, Chiesa di Sant’Agata. Crediti fotografici: Fotostudio Rapuzzi, Brescia

Ada Masoero, 02 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

A Cellatica un dialogo tra Giambattista Tiepolo e Giovanni Antonio Pellegrini | Ada Masoero

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