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Yayoi Kusama, «Pumpkin», 1991

© Yayoi Kusama

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Yayoi Kusama, «Pumpkin», 1991

© Yayoi Kusama

A Basilea la signora dei pois: Yayoi Kusama

Alla Fondation Beyeler la prima, imponente (oltre 300 opere) retrospettiva svizzera della 96enne artista giapponese

È «la storia di un’artista che, con una visione sconfinata e uno spirito inflessibile, ha trasceso i limiti personali, sociali e culturali per creare un corpus di opere innovative. La presentazione delle sue opere è un invito a viaggiare con lei: attraverso l’infinito, l’amore, la vita», così la storica dell’arte Mouna Mekouar, curatrice della mostra «Yayoi Kusama», presentata alla Fondation Beyeler dal 12 ottobre al 25 gennaio 2026, descrive questa prima retrospettiva svizzera dedicata all’artista giapponese, in un testo di introduzione del catalogo elaborato con Leontine Coelewij e Stephan Diederich. L’ imponente progetto di Basilea, che riunisce oltre 300 opere, tra dipinti, installazioni immersive, sculture e lavori su carta, con prestiti dalle collezioni museali di tutto il mondo, è nato dalla collaborazione con l’artista e il suo studio, ed è destinato a proseguire al Museum Ludwig di Colonia (14 marzo-2 agosto 2026) e allo Stedelijk Museum di Amsterdam (11 settembre 2026-17 gennaio 2027). In dialogo con l’architettura del museo, la mostra si estende su una decina di sale e nel parco, attraversando i settant’anni di produzione di Yayoi Kusama, nata a Matsumoto 96 anni fa, la signora dei pois e delle zucche giganti, nota per le sue opere psichedeliche e gli spazi immersivi. 

Il percorso cronologico si apre sui primi gouache e acquerelli, raramente esposti, realizzati nella città natale, segnati dal trauma della guerra e dalle visioni allucinatorie che lei stessa descrive come l’origine della sua poetica: «È sullo sfondo di questi anni, scrive la curatrice, che vanno visti il desiderio di pace di Kusama e la necessità di sviluppare il libero pensiero, temi presenti in tutta la sua vita e opera». Tra questi, l’inquietante «Atomic Bomb» (1954), gouache, inchiostro e pastello, che offre «una risposta astratta ma potente alla devastazione di Hiroshima e Nagasaki». L’artista ha sempre fatto dell’arte un «rifugio»: «Combatto ogni giorno dolore, ansia e paura, dice, e l’unico metodo che ho trovato per alleviare la mia malattia è continuare a creare arte». 

Negli Stati Uniti, dove si trasferisce nel 1958 incoraggiata da Georgia O’Keeffe, Yayoi Kusama diventa protagonista dell’avanguardia artistica newyorkese tra Minimalismo, Pop Art e controcultura. Sono gli anni delle «Infinity Net paintings», grandi tele monocrome ricoperte da motivi ripetuti ossessivamente, e delle prime «Accumulations», oggetti ricoperti da morbide protuberanze falliche, una risposta personale alla sua fobia della sessualità. Celebre resta anche la partecipazione, senza invito, alla Biennale di Venezia del 1966 con «Narcissus Garden», una delle opere più suggestive e sovversive, composta da 1.500 sfere specchianti sparse su un prato e vendute dall’artista a due dollari l’una. «L’universo di Kusama si costruisce per accumulazioni, stratificazioni e ritorni», spiega Mouna Mekouar. Il percorso espositivo riflette questa logica: dall’infanzia a Matsumoto, dove la famiglia, benestante, possedeva delle grandi serre nelle quali la giovane Kusama si nascondeva per disegnare, alla stagione radicale newyorkese, al ritorno in Giappone nel 1973, fino alla scelta di ritirarsi in una clinica psichiatrica a Tokyo dal 1977. Yayoi Kusama non ha mai smesso di lavorare, dedicandosi anche alla scrittura, romanzi e poesie. Nel 1993 partecipa per la prima volta ufficialmente alla 45ma Biennale di Venezia. Numerose le opere iconiche in mostra, anche mai presentate prima in Europa: i lavori pittorici figurativi degli ultimi due decenni, dalla serie «Love Forever» (2004), con pennarello nero, all’immenso ciclo di tele «My Eternal Soul» (2009-21). Alcune sono nuove produzioni, tra cui un’«Infinity Mirror Rooms» creata appositamente per gli spazi del museo. Il fil rouge resta il tema dell’infinito. In questo senso, i polka dots e le «reti infinite» sono meditazioni sulla vita e la morte: «Nel lavoro di Kusama, scrive la curatrice, l’infinito è più di un motivo: è una filosofia, un principio spaziale e una verità psicologica. Nel mondo di Kusama l’infinito non è distante. È qui, ora, e si dispiega all’infinito».

Yayoi Kusama, «DeathYouth», 2009-21. © Yayoi Kusama

Luana De Micco, 11 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

A Basilea la signora dei pois: Yayoi Kusama | Luana De Micco

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