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Uno scorcio del padiglione d'Israele nella scorsa edizione della Biennale Arte. Cortesia La Biennale di Venezia

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Uno scorcio del padiglione d'Israele nella scorsa edizione della Biennale Arte. Cortesia La Biennale di Venezia

Ogni esclusione è la negazione dell’arte

Le mozioni per non ammettere gli artisti d’Israele e dell’Iran alla Biennale di Venezia contraddicono l’essenza stessa dell’arte che è la libertà di espressione individuale

Elena Abbate

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Le sottoscrizioni a favore della cancellazione dei padiglioni nazionali di Israele e dell’Iran alla prossima Biennale Arte di Venezia (20 aprile – 24 novembre) sono state prontamente respinte dalla manifestazione internazionale: «In merito alla partecipazione all’Esposizione Internazionale d’Arte di Paesi presenti nei Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e in città, La Biennale di Venezia precisa che tutti i Paesi riconosciuti dalla Repubblica Italiana possono in totale autonomia richiedere di partecipare ufficialmente. La Biennale, di conseguenza, non può prendere in considerazione alcuna petizione o richiesta di escludere la presenza di Israele o Iran dalla prossima 60. Esposizione Internazionale d’Arte […]».

Poiché a nostro parere un artista, se è un bravo artista, merita di esporre la sua opera al di là del suo sesso, della sua nazionalità, della sua origine e della sua appartenenza a qualsivoglia categoria, sottoscriviamo quanto esemplarmente espresso da Mattia Feltri nella rubrica «Buongiorno» pubblicata in prima pagina del quotidiano «La Stampa» il primo marzo col titolo Solo dipingere quadri e che riportiamo integralmente:

«Alla petizione di non so più quanti artisti, dodicimila, quindicimila, s’è perso il conto, affinché alla Biennale di Venezia siano esclusi gli israeliani, ribatte una petizione opposta ma identica, affinché ne siano esclusi gli iraniani, in quanto rappresentanti di un regime teocratico feroce e misogino. Sono tempi di vasta confusione: si annullò il concerto di Valerij Gergiev, straordinario direttore d’orchestra colpevole d’essere russo e amico di Vladimir Putin, e si è arrivati a Eden Golan, cantante israeliana a rischio per l’Eurovision, passando per scrittori palestinesi, registi ucraini, fumettisti ebrei. L’assassinio culturale segue con pari determinazione la crudeltà belligerante del mondo e, sebbene non ci sia spargimento di sangue, è premeditato con un’innocenza che lascia ancora più senza fiato. Milan Kundera sembra sceso invano su questa terra, lui che detestò e irrise la bontà stesa gratis nelle petizioni, e la sua Sabina, la pittrice dell’Insostenibile leggerezza dell’essere, era fuggita da Praga invasa dai carrarmati russi, ma a Parigi non trovò un mondo meno asfissiante: a Praga, diceva, tutti vogliono sapere cosa faccio a sostegno del regime, a Parigi tutti vogliono sapere cosa faccio contro il regime: ma io dipingo quadri, voglio solo dipingere quadri. La sua rivolta era estetica, prima che etica: a Praga contro il kitsch della marcia trionfale della dittatura, e poi a Parigi contro il kitsch delle firme in calce alla pace nel mondo. Voleva solo dipingere quadri. Questo i soldati forse non sono tenuti a capirlo, è desolante che non lo capiscano gli artisti.»
 

Uno scorcio del padiglione d'Israele nella scorsa edizione della Biennale Arte. Cortesia La Biennale di Venezia

Elena Abbate, 02 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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