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Wu Chi-Tsung, «Cyano-Collage 205», 2024

Courtesy Taipei Dangdai 2025

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Wu Chi-Tsung, «Cyano-Collage 205», 2024

Courtesy Taipei Dangdai 2025

L’ennesima fiera che «chiude» e il mercato dell’arte che sta cambiando

La «pausa» di Taipei Dangdai 2026 riflette le sfide del mercato globale delle fiere d’arte, tra costi in aumento, riduzione delle gallerie partecipanti e la necessità di strategie innovative.

Nicoletta Biglietti

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Nessuna edizione per Taipei Dangdai 2026. Così, un’altra fiera chiude e si allunga la lista delle sospensioni che stanno ridisegnando il mercato internazionale. Non un episodio isolato, ma un segnale dei tempi: il sistema fieristico globale è in affanno, «costretto» a ripensare modelli e priorità. Gli organizzatori hanno parlato di una «rivalutazione strategica» in corso su modello, tempi, scala e formato degli eventi gestiti da The Art Assembly, il conglomerato internazionale che supervisiona tre fiere asiatiche – Taipei, Singapore (Art SG) e Yokohama (Tokyo Gendai). La fiera taiwanese, sostenuta da UBS e organizzata da Angus Montgomery Arts, era arrivata alla sua sesta edizione lo scorso maggio. La tendenza al ridimensionamento era già visibile: 54 gallerie presenti contro le 90 della prima edizione, e l’assenza delle principali mega-gallerie internazionali. La scelta di Taipei non però è isolata. Anche altre manifestazioni hanno deciso di fermarsi o rivedere i propri piani. Negli Stati Uniti, la Art Dealers Association of America ha cancellato la 37ª edizione di The Art Show prevista nell’ottobre 2024 al Park Avenue Armory, parlando anch’essa di una «pausa strategica». Intanto, dal sito ufficiale di Taipei Dangdai sono sparite le informazioni sulle edizioni precedenti, mentre la pagina Instagram di Art Assembly è stata disattivata. Un portavoce di Angus Montgomery Arts ha precisato che «ogni fiera è un’attività indipendente e rappresenta un mercato specifico», confermando l’intenzione di «esplorare nuove opportunità strategiche» per le edizioni 2025 e 2026 delle altre fiere del gruppo.

Il problema però va oltre Taipei. PHOTOFAIRS ha cancellato le edizioni inaugurali di Hong Kong e New York; Spring Break Art Show ha rinunciato a Los Angeles; Masterpiece a Londra ha chiuso nel 2023; Eye of the Collector ha sospeso il 2025. Nel 2024 il numero di fiere globali è sceso a 336, il livello più basso dal 2021 e 71 in meno rispetto al 2019. La pandemia aveva già inferto un colpo durissimo: nel 2020 solo 135 fiere in presenza e 75 digitali. Dal 2020 al 2023, 129 manifestazioni hanno cessato le attività, a fronte di sole 39 nuove iniziative. Nel 2024, altre 31 fiere hanno chiuso, più della metà in Europa, ma con riduzioni significative anche negli Stati Uniti e in Asia. Il quadro è aggravato dalle difficoltà economiche dei grandi operatori. Frieze, ad esempio, ha registrato nel terzo trimestre 2024 una perdita netta di 253,8 milioni di dollari, spingendo alla dismissione di attività considerate non strategiche.

Alla base delle sospensioni pesa soprattutto l’aumento dei costi. Secondo il primo Art Fair Report della società londinese First Thursday, quasi la metà delle 56 gallerie intervistate in Europa, Asia, Africa e Nord America ha speso oltre 30.000 sterline (circa 40.000 dollari) per partecipare a una singola fiera; un quinto ha dichiarato investimenti tra 50.000 e 100.000 sterline. L’83% indica i costi come principale difficoltà, il 77% l’incertezza delle vendite. La conseguenza è un atteggiamento più prudente: presentazioni conservative per ridurre i rischi e una quota crescente di gallerie – il 31% – che prevede di diminuire il numero di fiere a cui parteciperà, privilegiando quelle più redditizie. Molti operatori stanno dirottando risorse su piattaforme digitali, social media e marketing online. Il sistema tradizionale mostra sempre più crepe. E la chiusura di realtà consolidate, come Clearing, Marlborough, Venus Over Manhattan, Blum e l'italiana Apart, solo per citarne alcune, lo conferma.
Le gallerie emergenti trovano margini di resilienza nella domanda di opere a prezzi accessibili: i dealer con fatturati inferiori ai 250.000 dollari hanno registrato un +17%. Ma il rischio rimane elevato: investimenti contenuti, ritorni incerti e concorrenza crescente rendono ogni partecipazione una scommessa. Oggi le fiere rappresentano circa il 27% dei costi esterni delle gallerie, con incrementi annui costanti. Sempre più operatori scelgono quindi di puntare su programmazioni interne, rafforzare le relazioni con collezionisti locali e limitare gli spostamenti globali.

La sospensione di Taipei Dangdai va letta come un indicatore delle trasformazioni strutturali in atto. La riduzione delle gallerie partecipanti, l’uscita di figure chiave e la crescente concorrenza costringono gli organizzatori a rivedere modelli, tempi e formati delle fiere. Non più «solo» spazi espositivi, ma piattaforme strategiche per sperimentare nuove formule di connessione tra espositori, artisti e collezionisti. Le «pause strategiche» annunciate a Taipei e New York segnalano l’urgenza di ridefinire priorità e sostenibilità economica. Il futuro sembra orientarsi verso formati più flessibili, dimensioni contenute, maggiore attenzione ai collezionisti locali e all’uso di strumenti digitali. In questo scenario, Taipei Dangdai diventa un caso emblematico: da appuntamento di punta in Asia a campanello d’allarme per l’intero settore. Il 2026 sarà un banco di prova. Non solo per il destino della fiera di Taipei, ma per un sistema che, tra ridimensionamenti e nuove sperimentazioni, dovrà reinventarsi restare vivo.

Nicoletta Biglietti, 22 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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