Peter Lindbergh, ritratto di Sabisha Friedberg e Jessica Stam, 2007

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Peter Lindbergh, ritratto di Sabisha Friedberg e Jessica Stam, 2007

Voglio liberare le donne

Il nuovo corso di Paratissima apre con una retrospettiva di Peter Lindbergh, il fotografo icona della moda

Peter Lindbergh è un fotografo che ha dimostrato per tutta la vita come lo sguardo soggettivo e personale dell’inquadratura possa essere uno strumento di verità. E la verità che ha sempre cercato è stata quella dell’individuo, della persona. Quella che si coglie negli occhi, nelle espressioni del viso quando è al naturale, nel corpo che si dispone per istinto. Senza trucco, senza trucchi in postproduzione.

Lindbergh è stato un artista in ascolto, attento a chi aveva di fronte. La bellezza la vedeva, la scovava sotto la pelle, negli anfratti e nelle sfumature di creature stupende e famose. Modelle e dive che lo hanno reso un’icona della fotografia di moda, dai primi anni Novanta, quando un suo scatto esplose sulla copertina di «Vogue», per scelta della neodirettrice Anna Wintour, dando inizio al fenomeno delle supermodelle.

Era un gruppo di giovani modelle sconosciute, in jeans e maglietta: Linda Evangelista, Naomi Campbell, Christy Turlington, Tatjana Patitz e Cindy Crawford. Ragazze, donne che Lindbergh estrasse da stereotipi estetici e di ruolo restituendo identità personale e unica a ciascuna di loro. Una questione etica, oltre che estetica, che ha messo al centro la potenza della verità spontanea della bellezza femminile.

«Dovrebbe essere questa la responsabilità dei fotografi di oggi: liberare le donne, liberare finalmente tutti, dal terrore della giovinezza e della perfezione», scriveva nel 2015 nel suo libro Images of Women II.

Naturale, quindi, che si sentisse un ritrattista e non amasse essere definito fotografo. Il suo caratteristico bianco e nero pastoso e organico, profondo e duro, sembra spesso un carboncino. Quel carbone che aveva respirato nella cittadina mineraria di Duisburg nel nord della Germania, centro industriale dove era cresciuto.

L’immaginario industriale si è mescolato poi alla passione per il cinema espressionista tedesco, per «Metropolis» di Fritz Lang (1927), prototipo visionario per antonomasia di tutte le ideologie che nel Novecento, tra utopia e incubo, hanno lavorato a edificare in maniera in/visibile la società meccanizzata e di massa. Lindbergh ne ritrovava l’eco nel contemporaneo, ne inseguiva l’ombra e la riconosceva, per empatia e familiarità, negli scorci metropolitani delle amate Parigi e New York, nell’infinità dei paesaggi americani, nei ritratti di volti che erano universi.

Immagini che contengono un sapore cinematografico, non solo espressionista ma anche realista, così come di una «nouvelle vague» in cui si mescolano Europa e Usa. E qui storia del cinema e della fotografia si fondono nelle radici di un albero genealogico plurale dove ci sono Walker Evans, Garry Winogrand, August Sander, Paul Strand e Dorothea Lange, con il loro sguardo documentaristico, sociale e psicologico. E poi la lezione della street view, dell’occhio inquieto e flâneur che si aggira e coglie piccoli accadimenti e dettagli, la solitudine nella folla. La città come organismo vivente.

Con la mostra «Untold Stories» di Peter Lindbergh, all’ARTiglieria-Centro d’Arte Contemporanea da metà maggio al 13 agosto, Paratissima inaugura una galleria dedicata a ritratti di grandi artisti contemporanei. Figure il cui lavoro diventerà un paesaggio interattivo per sviluppare tematiche e confronti con il pubblico e con il mondo dell’arte. Nella nuova impostazione di Paratissima, infatti, mostre internazionali dialogheranno con i progetti che vedono protagonista l’arte emergente, gli artisti al di là di età anagrafiche e percorsi artistici.

La retrospettiva su Peter Lindbergh (1944-2019) è insieme un omaggio, un ritratto e un autoritratto. La selezione delle immagini è stata curata da Lindbergh stesso, con una lunga immersione nei suoi archivi attraverso quarant’anni di vita e di lavoro. Una mostra intima, quasi un testamento inconsapevole che si sviluppa come un diario, dove l’autore si racconta attraverso le sue immagini.

Molte le fotografie famose, molte quelle inedite, pagine celebri e altre segrete, «untold stories», che ora, tutte insieme, formano un percorso avvolgente e suggestivo. Sono le immagini a creare la narrazione, a raccontare Lindbergh come le parole non riuscirebbero, instaurando un rapporto diretto con lo spettatore.

Peter Lindbergh, ritratto di Sabisha Friedberg e Jessica Stam, 2007

Un ritratto di Peter Lindbergh. © Stefan Rappo

Peter Lindbergh, ritratto di Sharon Cohendy e Mariacarla Boscono, 2014

Olga Gambari, 12 maggio 2021 | © Riproduzione riservata

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