Velly, incisore grande e sfortunato

Jean-Pierre Velly, «Pirouette», 1983, matita, inchiostro e acquerello. Coll. Sette Daniele
Guglielmo Gigliotti |

Roma. Una mostra presso l’Istituto Centrale per la Grafica celebra uno dei più grandi incisori della seconda metà del Novecento, Jean-Pierre Velly (Audierne, Francia,1943-Trevignano, 1990).
Come sottotitolo della mostra, i tre curatori, Pier Luigi Berto, Ginevra Mariani e Marco Nocca, hanno scelto di indicare le due polarità del segno, «L’ombra e la luce». Loro intenzione è stata infatti quella di immettere il flusso generativo dei mondi di Velly all’interno di una grande metafora alchemica, e dunque di dividere l’esposizione di Palazzo Poli in tre sezioni: «Nigredo», «Albedo», «Rubedo», ovvero i tre stadi (dall’ombra infinita alla luce assoluta) del processo psicologico di elevazione spirituale prospettato dalla tradizione degli alchimisti.

L’ultima sezione comprende i dipinti realizzati dal francese, soprattutto nell’ultima stagione della sua vita, interrotta da un incidente che lo
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© Riproduzione riservata Jean-Pierre Velly, «Pipistrello» Jean-Pierre Velly, Autoritratto, 1988 olio su tela su tavola, collezione Barilla
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