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L’Unesco è ormai poco più di un marchio di promozione turistica molto ambito, ma costa troppo, è iperburocratizzato ed è terreno di facili incursioni «politicistiche». I suoi poteri si riducono a grida inquinate da interessi propagandistici e a minacce di estromissioni dalla famosa Lista. Per l’importanza di ciò che dovrebbe tutelare appare impotente e logorata e deve essere drasticamente riformata. Altrimenti rischia un’altra sciocchezza come la Brexit: l’Unexit

Ormai è una corsa all’iscrizione, una gara degli Stati a chi ne ha di più. Il numero dei Siti mondiali inseriti nella Lista Unesco del Patrimonio dell’Umanità è arrivato a 1.052 e continuerà a crescere: di questi, 814 sono siti «culturali», 214 «naturali» oltre a quelli transfrontalieri e misti. E ogni anno ciascun Paese ne propone di nuovi. 

Creata per proteggere i luoghi d’eccellenza mondiale dell’arte e della cultura e per impegnare i singoli Stati a tutelarli e conservarli, la lista (World Heritage List) è nata con la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell’Umanità firmata a Stoccolma nel 1972 e ad essa aderiscono oggi 165 Stati. Alla prima convenzione sono seguite quella del 2003 sul Patrimonio Immateriale e quella, oggi assai discussa, sulla Diversità culturale del 2005 (ratificata dall’Italia nel 2007). Si è visto presto che far parte della prima Lista Unesco, quella del patrimonio culturale del 1972, non significa soltanto necessità di tutela e di conservazione per tanti tesori d’arte e naturali del mondo ma anche un vantaggio d’immagine per ogni Paese e un forte richiamo per il turismo, l’industria mondiale più attiva: cresce del 4,5% all’anno. 

Il rischio cancellazione Ma il problema è complesso: questi luoghi richiedono grande cura, una corretta gestione, investimenti adeguati. Per cause diverse, non sempre questo avviene: incuria, mancanza di denaro, guerre, catastrofi naturali. Se i siti non rispondono più ai requisiti stabiliti l’Unesco li mette «sotto osservazione» e chiede agli Stati di provvedere. Se la situazione non migliora, li inserisce nell’elenco dei «beni in pericolo», anticamera di un iter che può portare alla loro cancellazione dalla lista. È un evento raro, in Europa è accaduto nel 2009 con la Valle dell’Elba, non lontano da Dresda, cancellata dalla lista perché nonostante il veto Unesco è stata «sfigurata» da un grande ponte autostradale costruito sul fiume proprio in mezzo al paesaggio protetto. Solo un altro sito mondiale (in questo caso «naturale») ha subito la stessa sorte: il Santuario degli Orici in Oman, nel 2007. 

L’elenco dei siti «in pericolo» è invece lungo. Dei 55 inseriti, molti sono stati aggiunti negli ultimi tre anni a causa delle guerre in Medio Oriente: 6 in Siria, uno in Iraq, 5 in Libia, ma anche 2 in Yemen e uno in Mali. Tra i siti in pericolo uno solo è europeo: lo storico porto di Liverpool, in Gran Bretagna, sfregiato da demolizioni e nuove costruzioni. 

L’Italia (quasi) in pericolo Nessun sito italiano è mai stato «in pericolo», ma alcuni sono seriamente a rischio. Primo fra tutti Venezia e la sua laguna, patrimonio dell’Umanità dal 1987. Dopo la visita degli ispettori nel 2015, il caso è esploso nella riunione mondiale dell’Unesco a Istanbul (luglio 2016). Il World Heritage Committee ha denunciato i gravi rischi che incombono su città e laguna con un ultimatum: entro il prossimo febbraio l’Italia dovrà presentare un piano che avvii a soluzione i problemi segnalati dall’Unesco. Tra le richieste urgenti: stop alle «grandi navi» in laguna, limiti di velocità al traffico in acqua, strategia per un turismo sostenibile, blocco di tutti i progetti in laguna, compreso lo scavo di nuovi canali. Il termine per rispondere all’Unesco si avvicina e non esiste un piano condiviso. Un primo confronto sulle diverse posizioni tra Stato, Comune e altri interessi locali coinvolti dovrebbe avvenire a novembre. Un secondo importante sito «sotto osservazione» Unesco è il centro storico di Napoli, Patrimonio dell’Umanità dal 1995. Dopo aver perso i finanziamenti europei (circa 100 milioni) per non averli utilizzati entro il termine del dicembre 2015, nel cuore antico della città cresce il degrado. Per ora, dalle istituzioni locali, in particolare dal Comune, non è venuta nessuna proposta. 

Un caso a parte, positivo, è quello dell’area archeologica di Pompei, per anni abbandonata al degrado sotto gli occhi indignati del mondo. Erano intervenuti l’Unesco e i suoi ispettori: l’iscrizione nella lista nera del «pericolo» era vicina. Oggi la situazione sta cambiando, Pompei diventa un esempio di buon uso dei fondi europei (finora 105 milioni): da due anni gli scavi della grande città romana stanno rinascendo e l’Unesco, dopo aver minacciato, approva. È ad alto rischio anche un terzo sito, quello di Vicenza, «sotto osservazione» dell'organismo internazionale. 

Altri siti italiani hanno problemi sui quali l’Unesco non è ancora intervenuta. Non esiste un elenco ufficiale ma si possono citare alcuni esempi: la Villa romana di Minori (sito Unesco «Costiera Amalfitana»), il centro storico di Firenze, per la costruzione del passante in galleria dell’Alta Velocità; l’area archeologica di Agrigento, per il progetto di una raffineria troppo vicina; Scicli (Ragusa) tra le «Città tardo barocche del Val di Noto», in Sicilia, minacciata da un futuro impianto per trattamento di rifiuti; il centro storico di Urbino, a causa di un parcheggio e centro commerciale presso le mura; e il sito «Siracusa e la necropoli rupestre di Pantalica», in stato di degrado, senza controlli e manutenzione.

Il ruolo del Mibact Con la recente riforma del Ministero, tutte le attività che riguardano l’Unesco sono state riunite nella Segreteria generale, in un solo Ufficio diretto da Maria Grazia Bellisario. Promuove le nuove candidature, controlla lo stato di conservazione dei siti iscritti e il loro monitoraggio periodico. Presso il Servizio opera la Commissione consultiva per i piani di gestione dei siti Unesco e per i sistemi turistici locali. Esistono altre due strutture di coordinamento. La rappresentanza italiana presso l’Unesco a Parigi, con a capo l’ambasciatore Vincenza Lomonaco, e la Commissione nazionale italiana per l’Unesco. Il presidente, nominato da poco, è Franco Bernabè e coordina le attività che riguardano l’Unesco di diversi Ministeri e altri organi dello Stato. 

Compito fondamentale dell’Ufficio Unesco del Mibact è il monitoraggio dei siti, dal 2006 obbligatorio e sistematico. Gli ispettori del Ministero devono visitare tutti i siti, a rotazione, ogni 6 anni. Finora questo è avvenuto due volte con difficoltà crescenti a causa dell’aumento dei siti italiani iscritti, oggi 51. Per il normale controllo il Mibact si serve dei suoi Soprintendenti locali. «Questa collaborazione è molto importante, dice Maria Grazia Bellisario, e per questo stiamo organizzando per loro un sistema di formazione e informazione aggiornata. Ne parleremo anche alla Conferenza Nazionale dedicata ai Siti Unesco italiani che si terrà a Roma dall’8 al 10 novembre e che si propone un obiettivo concreto: creare un Osservatorio permanente per i nostri Siti».

51 siti italiani: più di tutti. 1979 Arte Rupestre della Val Camonica
. 1980 (e 1990) Centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e San Paolo fuori le Mura*
. 1980 La Chiesa e il convento Domenicano di Santa Maria delle Grazie e il «Cenacolo» di Leonardo da Vinci
. 1982 Centro storico di Firenze
. 1987 Venezia e la sua Laguna
. 1987 Piazza del Duomo a Pisa
. 1990 Centro Storico di San Gimignano
. 1993 I Sassi e il Parco delle Chiese Rupestri di Matera
. 1994 La città di Vicenza e le ville del Palladio in Veneto
. 1995 Centro storico di Siena
. 1995 Centro storico di Napoli
. 1995 Crespi d’Adda
. 1995 Ferrara, città del Rinascimento, e il Delta del Po
. 1996 Castel del Monte q 1996 Trulli di Alberobello
. 1996 Monumenti paleocristiani di Ravenna
. 1996 Centro storico di Pienza
. 1997 La Reggia di Caserta con il Parco, l’acquedotto Vanvitelli e il Complesso di San Leucio
. 1997 Residenze Sabaude di Torino e del Piemonte
. 1997 L’Orto botanico di Padova
. 1997 Portovenere, Cinque Terre e Isole (Palmaria, Tino e Tinetto)
. 1997 Modena: Cattedrale, Torre Civica e Piazza Grande
. 1997 Aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata
. 1997 Costiera Amalfitana
. 1997 Area archeologica di Agrigento
. 1997 La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina (En)
. 1997 Villaggio Nuragico di Barumini in Sardegna
. 1998 Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in Campania, con i siti archeologici di Paestum, Velia e la Certosa di Padula
. 1998 Centro Storico di Urbino
. 1998 Zona Archeologica e Basilica Patriarcale di Aquileia (Ud)
. 1999 Villa Adriana (Tivoli)
. 2000 Isole Eolie
. 2000 Assisi, la Basilica di San Francesco e altri siti francescani
. 2000 Città di Verona
. 2001 Villa d’Este (Tivoli)
. 2002 Le città tardo barocche della Val di Noto (sud-est della Sicilia)
. 2003 Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia
. 2003 Monte San Giorgio tra Lombardia e Canton Ticino*
. 2004 Necropoli etrusche di Cerveteri e Tarquinia
. 2004 Val d’Orcia
. 2005 Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica
. 2006 Genova, le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli
. 2008 Mantova e Sabbioneta
. 2008 La ferrovia retica nel paesaggio dell’Albula e del Bernina*
. 2009 Dolomiti
. 2011 I longobardi in Italia. Luoghi di potere
. 2011 Siti palafitticoli preistorici delle Alpi*
. 2013 Ville medicee
. 2013 Monte Etna
. 2014 Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato
. 2015 Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale.
* Siti transfrontalieri

Edek Osser, 07 novembre 2016 | © Riproduzione riservata

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