Il Museo del Novecento conserva nelle sue collezioni appena riordinate un nucleo di capolavori di Mario Sironi (1885-1961) e intorno a essi, con l’apporto di raccolte museali come Pinacoteca di Brera, Ca’ Pesaro e Guggenheim di Venezia, Mart di Trento e Rovereto e di collezioni private ha costruito, per i 60 anni dalla morte del maestro, il percorso della mostra «Mario Sironi. Sintesi e grandiosità» (dal 23 luglio al 21 marzo, catalogo Ilisso), curata da Elena Pontiggia e Anna Maria Montaldo, con Andrea Sironi-Strausswald e Romana Sironi.
Nella sua vicenda artistica Sironi ha attraversato e condiviso (ma sempre da una posizione indipendente, segnata da un’indole severa e cupa) tutte le stagioni più innovative dell’arte della prima metà del ’900, dal Simbolismo al Futurismo, dalla Metafisica alla «moderna classicità» (per dirla con Margherita Sarfatti) di Novecento e Novecento italiano, dall’Espressionismo, nel 1929-30, alla pittura monumentale e celebrativa (del fascismo, cui aderì convintamente, rischiando nel 1945 la fucilazione: fu il partigiano Gianni Rodari a salvarlo) degli anni Trenta. Riuscendo anche, pur dopo il crollo dei suoi ideali politici e la tragedia del suicidio della figlia Rossana, nel 1948, a trovare una nuova strada con la pittura «spezzata» e potente delle ultime «Composizioni».
In mostra sono documentati tutti i periodi, con numerose opere mai esposte o non più viste da decenni e con un’attenzione speciale ai «paesaggi urbani», avviati a Milano nel 1919 e coltivati per alcuni anni, e ai dipinti di figura, anch’essi di straordinaria forza. I cartoni delle opere murali (per la Sapienza di Roma, il Palazzo di Giustizia di Milano e altri) documentano quella stagione fondamentale, e aprono all’ultimo tratto della sua parabola.
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