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Tutte le facce di Villa Arconati

Annunciato un imponente cantiere che interesserà tutti i prospetti esterni

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Fu Galeazzo Arconati (1580-1648) a trasformare il rustico Castellazzo, da lui acquistato nel 1610 dai marchesi Cusani, in una villa di delizia talmente fastosa e gigantesca da meritarsi in seguito il titolo di piccola Versailles lombarda. Collezionista d’arte e appassionato di architettura (fu anche rettore della Fabbrica del Duomo), Galeazzo cambiò innanzitutto radicalmente il volto della villa padronale, ingentilendola e arricchendola con statue classiche, fra cui il colossale Tiberio (detto «Pompeo Magno») che tuttora domina il salone delle feste. Per la gran villa passarono opere straordinarie, come il Codice Atlantico di Leonardo, donato nel 1637 alla Biblioteca Ambrosiana proprio da Galeazzo, e i marmi della Tomba di Gaston de Foix del Bambaia, oggi al Castello Sforzesco di Milano.

E sempre Galeazzo, di ritorno da Roma e Firenze, nel 1621 fu il committente del celebre giardino alla francese. Villa Arconati visse per oltre due secoli una stagione gloriosa, poi iniziò la decadenza, culminata nel 1989, quando tutti i beni di pregio furono venduti all’asta. Già l’anno dopo, però, villa e giardino passavano a un gruppo privato e nel 2011, a due anni dai primi interventi (cfr. n. 317, feb. ’12, p. 46), che ne permisero la parziale riapertura, il complesso diventò sede della Far-Fondazione Augusto Rancilio, che ha di recente annunciato l’avvio del cantiere di restauro su tutte le facciate della villa, a partire da quella laterale rivolta a nord-ovest, verso la Chiesa di San Guglielmo.

I lavori, ingenti e complessi, concordati con la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano, guidata da Antonella Ranaldi, si concentreranno in primo luogo sul consolidamento degli elementi costitutivi delle facciate: intonaci, superfici decorate, manufatti lapidei, decorazioni di ferro battuto e infissi. Difficile stabilire i tempi di un intervento così imponente (è il primo, sulle facciate, dalla metà dell’Ottocento, quando vi provvide il marchese Antonio Sola, il proprietario di allora). Soltanto alla conclusione di questi lavori, indispensabili per la tutela e la conservazione del bene, si provvederà al ripristino delle cromie originarie che, annunciano dalla Far, grazie alle indagini svolte, «riserveranno delle sorprese rispetto ai colori delle stampe acquerellate di Marc’Antonio Dal Re».

Ada Masoero, 05 settembre 2017 | © Riproduzione riservata

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