Foto di scena da «La ricotta» (1963), di Pier Paolo Pasolini. Foto Paul Ronald. Collezione Maraldi

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Foto di scena da «La ricotta» (1963), di Pier Paolo Pasolini. Foto Paul Ronald. Collezione Maraldi

Tre mostre romane per il centenario di Pasolini

A Palazzo Barberini, Palazzo delle Esposizioni e MaXXI dialoghi con caravaggeschi, artisti contemporanei e molti documenti di un protagonista attualissimo

«Pier Paolo Pasolini. Tutto è santo» è il titolo globale di tre mostre che celebrano il centenario del poeta, scrittore, regista, nato a Bologna il 5 marzo 1922 e ucciso all’idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975. Per Palazzo Barberini, sede della Galleria nazionale d’arte antica, dal 28 ottobre al 20 gennaio Michele Di Monte ha ideato un percorso che mette a fuoco la radice «museale» dell’immaginario visivo pasoliniano: il realismo povero di Caravaggio e caravaggeschi su tutti, tra cui Valentin de Boulogne e lo Spadarino, e poi il Romanino (da Pasolini molto amato), i manieristi, Vincenzo Campi, ma anche il giottesco Baronzio, sono tutti autori le cui opere, in mostra, dialogano con momenti di cinema e di vita di Pasolini, documentati da foto di set, articoli o libri.

«È stato per primo Pasolini, dice Di Monte, a chiarire che la sua ispirazione è più figurativa che cinematografica. Nel caravaggismo, inoltre, lo scrittore ha trovato quella sacralità del corpo, delle ferite e della sofferenza che innerva tanta sua arte. A loro volta, certe visualizzazioni di Pasolini ispirate al passato influiscono, ancora oggi, sulla percezione che noi abbiamo di quegli artisti seicenteschi».

Al Palazzo delle Esposizioni, dal 17 ottobre al 20 gennaio, sono messi in mostra oltre 700 documenti originali di e su Pasolini: fotografie vintage, prime edizioni di libri, lettere, articoli, poesie, costumi dei film, registrazioni audio e tutto quanto è stato trovato in archivi e mercati dell’usato da veri cultori di Pasolini, a principiare dal suo maggiore collezionista, Giuseppe Garrera, che con Cesare Pietroiusti e Clara Tosi Pamphili firma la curatela della mostra. «Qui Pasolini, spiega Garrera, si incarna nelle cose che parlano di lui: Pasolini è stato le cose che ha fatto, e queste sono tutte in mostra».

Qui è ricostruito anche il contesto, come nella sezione dedicata al dileggio e all’odio di cui fu vittima l’intellettuale, con 150 tra vignette, fotomontaggi e articoli con volgari giochi di parole, aventi tutti un solo bersaglio: l’omosessualità di Pasolini. Fa da controcanto il testo originale della poesia scritta da Elsa Morante all’indomani dell’assassinio dell’amico (esposta solo dal 2 al 6 novembre, per volontà degli eredi), in cui la scrittrice proclama che la sua diversità era stata quella di essere un poeta, ciò che la società non gli aveva perdonato.

In mostra anche le notizie dei 34 processi che subì il poeta a ogni uscita di libro o di film, con accuse di oscenità o di vilipendio della religione. Molto ricca anche la sezione audio, con registrazioni rare delle parole di Pasolini («un poeta incarnato anche nella sua voce», dice Garrera) o musiche di canzoni popolari, da «Violino tzigano» a Claudio Villa («amato da Pasolini perché amato dal popolo»). Tra le perle, testimonianze di Carla Lonzi su colui che la femminista descrisse «il fratello proibito che ogni donna desidera avere».

Garrera è anche il maggiore prestatore del terzo appuntamento di «Pier Paolo Pasolini. Tutto è santo», quello al MaXXI dal 16 novembre al 12 marzo, curato da Giulia Ferracci, Bartolomeo Pietromarchi e Hou Hanru. Documenti pertinenti alla vita e all’opera di Pasolini, relativi al suo ultimo anno di vita, il 1975, si intrecciano qui con le opere di 18 artisti contemporanei che ai temi sociali di Pasolini, alle sue proteste e alle sue profezie, si sono ispirati, o che hanno autonomamente compreso nella loro poetica: tra gli altri, i lavori di Fabio Mauri, Marzia Migliora, Giulio Paolini, Paul Chan, Claire Fontaine, Dante Ferretti, Elisabetta Benassi, Nalini Malani e Wang Yong Ping. Dice Giulia Ferracci: «Mettiamo a fuoco l’ultimo anno di vita di Pasolini, ma non parliamo della sua morte. Racconteremo un Pasolini “sempre vivo”, come lo definì Roberto Roversi all’indomani della sua morte».

Foto di scena da «La ricotta» (1963), di Pier Paolo Pasolini. Foto Paul Ronald. Collezione Maraldi

Guglielmo Gigliotti, 15 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

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