Si vede doppio al Pompidou

I suggestivi effetti estetici della tecnica fotografica dell’«immagine duplicata» in una sessantina di scatti

Man Ray, «Edward James», 1937 (particolare)
Luana De Micco |  | Parigi

Celebri fotografi, da Man Ray a Berenice Abbott, da Paolo Gioli a Pierre Boucher, hanno sperimentato la tecnica dell’«immagine duplicata», affascinati dai suoi suggestivi effetti estetici. Talora, come per gli artisti concettuali degli anni ’60 e ’70, l’hanno messa al centro della loro opera, per mezzo di collage e fotomontaggi. In questi casi non è tanto ciò che la foto rappresenta, quanto l’immagine ripetuta all’infinito a diventare il soggetto stesso dell’opera.

Il Centre Pompidou ha attinto ai suoi archivi fotografici (con più di 45mila stampe e 60mila negativi) per organizzare la mostra «L’immagine e il suo doppio», presentata fino al 13 dicembre alla Galerie de photographies. Sono allestiti una sessantina di scatti, d’epoca o contemporanei, firmati Constantin Brancusi, Sara Cwynar, Wallace Berman o Bruno Munari.

Per i giochi di ombre e di riflessi, e per la scelta delle inquadrature, le immagini diventano di volta in volta poetiche, ironiche, frenetiche o angoscianti, rivelando un rapporto ossessivo con il reale.

«Coscienti delle sfide legate alla moltiplicazione delle rappresentazioni visive, facilitate dall’arrivo del digitale, questi artisti rivelano tanto le utopie che le disfunzioni dei processi di ripetizione e della copia, scrive il museo in una nota. Esaminare il meccanismo di riproduzione, di conseguenza, significa anche ripensare l’identità dell’autore».

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