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Segretarie e stereotipi

Mariella Rossi

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Il Museo delle macchine da scrivere Peter Mitterhofer è stato fondato negli anni Novanta in memoria di Peter Mitterhofer, vissuto a Parcines presso Merano, inventore nella seconda metà dell’Ottocento di diversi modelli di macchina da scrivere. Conserva oltre 17mila oggetti tra cui la raccolta storica di macchine da scrivere di Kurt Ryba e accessori, documenti, brevetti, manuali d’uso, cartoline storiche e fotografie provenienti da diverse raccolte private. 

Sino al 31 ottobre, il museo apre nuovamente le porte all’arte contemporanea con la mostra intitolata «Machina scriptoria. Tecnica e creatività. Quando l’unicità dell’arte incontra la produzione seriale», curata da Paolo Pancaldi con opere di una trentina di artisti. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

Com’è nata la mostra?

Dalla mia passione per l’ingegno umano e per la capacità di risolvere problemi quotidiani. Negli anni ho indagato le diverse soluzioni meccaniche inventate per fissare una lettera su un foglio, cominciando a registrare opere d’arte nelle quali la macchina da scrivere è protagonista. Non ho composto una collezione, non le ho sempre acquisite, ma ho iniziato una sorta di monitoraggio, una selezione di opere delle quali ho identificato la collocazione, pensando che prima o poi ne avrei fatto una mostra.

Quando è iniziata la ricerca?

Vent’anni fa, con un’opera di Angelo Colagrossi. È la prima che mi ha fatto ragionare sull’argomento, è un quadro in cui c’è un richiamo al passato, che scivola via nell’indifferenza, e alla natura, anch’essa ignorata. Sono convinto che sia importante registrare e ricordare alcuni aspetti del vissuto, della storia, il che non vuol dire essere contro l’evoluzione. 

Quali sono le opere esposte?

Ho selezionato opere esistenti, nate spontaneamente attorno alla macchina da scrivere con stili e tecniche diversi (pittura, collage, scultura e fotografia), provenienti da artisti e collezionisti italiani, europei, americani, e venezuelani.

Com’è articolato il percorso all’interno del museo?

Le opere sono inserite nel percorso permanente che ha un approccio storico e cronologico. Al piano terra una dattilografa dell’Ottocento, con una fantastica macchina da scrivere dipinta a mano, e una macchina elettrica fotografata da Vera Mercer fanno da contraltare a un’opera di Luca Zampetti che ritrae lo stereotipo di una segretaria contemporanea a Chicago. Al terzo piano è simulato un angolo di lavoro con una macchina da scrivere Hammond, oggetto molto particolare dal punto di vista tecnico perché non ha i braccetti mobili che portano le lettere sul foglio, ma un cilindro che ruotava su se stesso. Questa macchina da scrivere è stata sostituita da una foto degli artisti Celso e Auro Ceccobelli su stampa Lambda, alludendo al fatto che la scrittura al giorno d’oggi passa sempre attraverso uno schermo. Lo slittamento tra il passato e il presente è il filo conduttore della mostra.  

Svilupperà altri capitoli di questa mostra?

L’intento della mostra è di creare un ponte tra opere del secolo scorso e del nuovo millennio. Certamente si impongono altri capitoli a seguire.

Mariella Rossi, 18 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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