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Schmidt da Firenze a Vienna. Polemiche

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Laura Lombardi

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La figura del direttore di museo e i suoi movimenti sono ormai al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e il bene culturale è ormai un’entità molto glamour sulla quale tutti han qualcosa da dire. In questo scenario si inserisce la comunicazione del futuro incarico di Eike Schmidt (uno dei venti «superdirettori» della riforma Franceschini, dal 2015 alla guida delle Gallerie degli Uffizi) alla direzione, dal 2019, del Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Molte polemiche sull’abbandono di un incarico in virtù del quale ha messo in moto diversi progetti tra cui quello riguardante il corridoio Vasariano, chiuso da oltre un anno per realizzare un percorso unico che colleghi Uffizi e Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, come ai tempi dei granduchi, svuotandolo quindi degli autoritratti; oppure la diversa collocazione delle opere nel museo con revisione di alcuni percorsi, tendendo a riunire i capolavori, per una visita più rapida (e inevitabilmente meno approfondita) destinata a turisti entusiasti ma frettolosi.

Progetti che hanno richiesto investimenti notevoli e meno introiti dai biglietti (quelli del Vasariano chiuso) e che ora ci si chiede se avranno seguito oppure se, con un nuovo direttore, non si ricomincerà da capo con altri indirizzi. A chi gli chiede il perché della sua decisione, Schmidt confessa tra le ragioni l’amarezza per il ricorso al Tar contro le nomine di cinque direttori (Paolo Giulierini, Mann, Napoli; Martina Bagnoli, Galleria Estense, Modena; Peter Assmann, Palazzo Ducale, Mantova; Eva Degl’Innocenti, MarTa, Taranto; e Carmelo Malacrino, Mann, Napoli), che avrebbe inevitabilmente coinvolto, qualora il tribunale si pronunciasse a sfavore il 26 ottobre prossimo, anche quelli già nominati in altre sedi, tra i quali lui medesimo.

Qui va ricordato che la ragione del ricorso risiede non tanto (o non solo) nell’Italia che non vorrebbe i direttori stranieri, come molta stampa ha diffuso, ma del decreto legge 165 del 2001, che stabilisce che le cariche dirigenziali dello Stato (quindi anche quelle dei superdirettori, chiamati a svolgere, per uno stipendio ben più alto, gli stessi compiti dei loro malpagati predecessori) siano ricoperte da cittadini di nazionalità italiana. Decreto del quale Dario Franceschini (approvato dal secondo governo Amato, il cui sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega alle riforme, era proprio Franceschini) non si è ricordato quando è stata approvata la legge 106 del luglio 2014, che riguardava appunto le nomine dei nuovi direttori. D’altro canto, il ministro stesso ha ricordato la legislazione europea in merito alla circolazione professionale nell’ambito della Ue.

A questa situazione, si aggiunge il fatto che Schmidt è stato oggetto, nel luglio scorso, della congiunta lamentela di una trentina di funzionari suoi dipendenti, i quali ritenevano di aver visto ridotta la propria autonomia e responsabilità. Intervistato da Chiara Dino sul «Corriere fiorentino» del 3 settembre, Schmidt ha commentato, con un pizzico di ironia, di capire bene la delusione dei suddetti di esser tornati a fare i funzionari, quando prima eran chiamati «direttori di dipartimento».

D’altra parte, tale qualifica o analoga esiste anche nei dipartimenti di musei stranieri, dove lo stesso Schmidt ha lavorato. E in Italia, come d’altronde anche in Francia proprio l’essere funzionario implica l’attribuzione di «funzioni» inerenti alla propria professionalità: proprio ciò che chiedevano i trenta dipendenti «scontenti». Molto sollecitato dal clima di pettegolezzo che si è diffuso intorno alla notizia del prossimo trasferimento a Vienna, Antonio Natali ha finora rilasciato rare dichiarazioni (forse anche per non esser tacciato di livore riguardo il suo «licenziamento» che certo è stato doloroso, avendo a suo tempo rinunciato al ruolo di docente ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università proprio per dirigere gli Uffizi).

Tuttavia, venuto a conoscenza della recentissima dichiarazione (resa nota dal «Corriere fiorentino») dello stesso Schmidt al «Süddeutsche Zeitung», uno dei più importanti quotidiani tedeschi, sull’importanza di porre fine alla direzione di musei come supermarket, dove si tende a guadagnare il più possibile investendo il meno possibile, Natali ricorda di non aver mai seguito questa politica furba e tesa al profitto. Nei nove anni che lo hanno visto alla guida degli Uffizi, Natali ha infatti diretto 12 mostre tutte di alto profilo scientifico e di ricerca (dai tesori del Granduca alla scultura lignea del ’400, alle prime monografiche su Piero di Cosimo e Gherardo delle Notti). E aggiunge, questa volta proprio fuori dai denti: «Uno che va a Lourdes e riceve un miracolo, subito dopo ringrazia la Madonna e non la insulta come ha fatto invece Schmidt con lo Stato italiano, prendendo accordi con un altro museo straniero a metà del suo mandato. Mi chiedo cosa succederebbe in un’azienda che scopra che un proprio manager di spicco, assunto da poco, prende già accordi con un’altra azienda!».

Laura Lombardi, 11 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

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