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Federico Florian
Leggi i suoi articoliDi origini franco-algerine, Kader Attia, classe 1970, è tra gli artisti più in voga del momento. Vincitore della scorsa edizione del Prix Marcel Duchamp, nel 2016 ha aperto un centro multidisciplinare nel X Arrondissement di Parigi, La Colonie, che ospita un programma annuale di mostre, workshop e conferenze. Una pratica, quella di Attia, incentrata sul concetto di «riparazione» (come nella sua angosciante installazione a Documenta 13, in cui diapositive che mostravano «riparazioni» chirurgiche si alternavano a reperti africani che riportavano fratture e aggiustamenti).
Il medesimo principio caratterizza le opere che l’artista presenta nella sua personale alla Galleria Continua dal 19 febbraio al 23 aprile, dal titolo «Reflecting Memory». «È una riflessione, spiega Attia, sulla complessità della memoria; sulla “riparazione” come forma di “riappropriazione” ma soprattutto di resistenza». Fulcro dell’esposizione è un videodocumentario nel quale si susseguono interviste a chirurghi, neurologi e psicoanalisti sulla sindrome dell’arto fantasma, che consiste nella percezione persistente di un arto dopo la sua amputazione. Il video dialoga nello spazio con un gruppo di sculture inedite, in cui lo specchio fa da elemento centrale, e che ribaltano la nozione occidentale di riparazione come mezzo per perseguire un ideale di perfezione.
Nelle stesse date la galleria ospita altre due personali: una dedicata a Nedko Solakov, che qui presenta una nuova serie di acquerelli, e l’altra alla fotografa e videoartista franco-marocchina Leila Alaoui, recentemente scomparsa, vittima degli attacchi terroristici del 2016 a Ouagadougou, in Burkina Faso. Di quest’ultima sono esposti gli scatti tratti da tre serie fotografiche che raffigurano, rispettivamente, migranti marocchini, dell’Africa subsahariana e siriani. L’esposizione raccoglie anche alcune immagini da «Les Marocains» progetto ispirato agli «Americans» di Robert Frank: un ritratto corale e poetico del popolo a cui l’Alaoui apparteneva.
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