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Ribellarsi, mai improvvisare

Mariella Rossi

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Da Milano a Lugano: la nuova galleria di Silvano Lodi punta al Brafa di Bruxelles e al Tefaf di Maastricht

Proveniente da una famiglia di galleristi alla seconda generazione. Il padre, mercante e collezionista, iniziò negli anni Sessanta a Monaco di Baviera, Silvano Lodi jr ha lasciato Milano, dove è stato dagli anni Novanta un punto di riferimento per l’arte antica (soprattutto) ma anche contemporanea, per trasferirsi a Lugano, dove ha aperto lo scorso giugno la Silvano Lodi IntArt Gallery. Molti dipinti legati alla galleria sono conservati nelle collezioni di tutto il mondo. La scelta è ricaduta su Lugano perché, spiega il gallerista «nella galleria di Milano si erano create incomprensioni. Così ho dovuto prendere delle decisioni e ho scelto il Ticino, che non ho mai smesso di frequentare andando a trovare mio padre nella sua casa a Campione».

Com’è avvenuta la scelta della nuova sede?

L’occasione si è presentata con Stefano e Monica Spirig Papini che hanno un negozio in via Pessina, IdeA arredamento. Lei è figlia di Kurt Spirig, noto antiquario luganese. Sopra di loro si era liberato uno splendido spazio, così è nata l’idea di condividerlo e trasformarlo in una galleria. È una nuova sfida che m’impone di rimettermi in gioco, sento un’energia positiva. 

Com’è strutturato il nuovo spazio? 

È un buon compromesso tra spazio industriale e casa-galleria. Il colore delle pareti è un grigio chiaro tagliato con il giallo, il soffitto è bianco. Ho sempre odiato le pareti bianche. All’ArteFiera di Bologna negli anni Novanta sono stato uno dei primi a tinteggiare le pareti di nero con una spettacolare mostra di sugheri di Roberto Crippa: le opere spiccavano sulle pareti scure. Questo approccio deriva dalla fotografia, pochi sanno che io nasco come fotografo, ho frequentato la scuola di fotografia tra Lugano, Losanna e Londra. Il nero non l’ho mai più usato, lo ritengo «estremo» come il bianco; in galleria, come negli stand, prediligo il grigio «caldo» che contiene il giallo.  

Mostre in programma? 

Rispetto alle consuete routine delle programmazioni espositive mi ritengo un ribelle, vengo affascinato dagli artisti che voglio proporre subito, mi piace quando dietro alle opere c’è un pensiero. Di certo proporrò un futurista italiano della seconda ondata, Osvaldo Bot: una raccolta fatta con passione da Carlo Gazzola che ha prodotto due bellissimi volumi monografici. Presenterò la pittrice e scultrice argentina residente a Mendrisio, Gabriela Spector, poi Paolo Campa, dallo stile iperrealista e anche lui di Lugano, Saverio Polloni e Giovanni Bruno. Vorrei riproporre una mostra di Roberto Crippa con i sugheri, alcuni provenienti dalle collezioni Arturo Schwarz, Alexander Jolas e Galleria Cortina: ritengo sia un artista sottovalutato. Mi interessano gli anni Sessanta e non intendo abbandonare l’antico, da amalgamare con il moderno e il contemporaneo magari in progetti espositivi tematici. Tutte le mostre sono realizzate in collaborazione con Michele Sesta. L’obiettivo è partecipare alla fiera antiquaria Brafa di Bruxelles nel 2018, ritornare al Tefaf di Maastricht e a WopArt a Lugano.

Come vanno i rapporti tra artisti e galleristi? 

Spesso ho l’impressione che ci sia molta improvvisazione, tanti galleristi hanno come unico obiettivo inseguire mode e tendenze tralasciando il vero credo dell’arte: la libertà e il pensiero legati alla ricerca di nuove forme espressive.

Mariella Rossi, 20 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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