Rex Whistler alla Tate tra razzismo e revisionismo

L’ex ristorante Rex Whistler Tate Britain sarà una sala espositiva. Un artista contemporaneo realizzerà un’opera site specific in dialogo con i dipinti alle pareti in cui sono state individuate due (minuscole) «scene razziste»

Un particolare del dipinto murale di Rex Whistler alla Tate Britain in cui si può individuare, molto piccola al centro dell’immagine, una delle due scene bollate come «razziste». Si tratta di un bambino nero che viene trascinato via legato a un carro rosso
Martin Bailey |  | Londra

Il pittore e illustratore britannico Rex Whistler (1905-44) decorò le pareti della sala nel 1927. Sebbene completata quando aveva solo 21 anni, rimane una delle sue opere più importanti.

Intitolato «The Expedition in Pursuit of Rare Meats», il dipinto murale racconta la storia di un viaggio di caccia immaginario attraverso varie epoche e continenti alla ricerca di cibi e bevande esotici, un soggetto appropriato per un ristorante tanto che la sala ha ospitato per un certo periodo il ristorante della Tate finché non sono sorte contestazioni su alcune scene dipinte alle pareti.

Due in particolare sono state definite  «denigratorie e angoscianti», una di un bambino nero strappato alla madre e ridotto in schiavitù, e una con caricature di figure cinesi.

Le due scene rappresentano una percentuale minima del ciclo decorativo (si tratta di figure alte solo pochi centimetri nel paesaggio) tanto che fino alla fine degli anni 2010 era stata prestata loro poca attenzione. Nel momento in cui sono state notate e contestate, la Tate nel 2018 ha pubblicato un testo esplicativo del loro contenuto razziale per contestualizzare il lavoro di Whistler. Ma all’inizio del 2020, a seguito di ulteriori proteste, gli amministratori hanno deciso che non era più opportuno utilizzare la sala come ristorantee poco dopo la Tate è stata chiusa a causa del Covid-19.

Successivamente il museo ha quindi istituito un gruppo per supervisionare ciò che è diventato noto come «Rex Whistler Mural Discussions», coinvolgendo artisti esterni, storici dell’arte, consulenti culturali, rappresentanti civici e giovani creativi.

Il gruppo è guidato da cinque membri chiave, tutti co-presidenti e persone di colore eccetto il direttore della Tate Britain, Alex Farquharson, che commenta: «Il dipinto murale fa parte della nostra storia istituzionale e culturale e dobbiamo assumerne la responsabilità, ma questo nuovo approccio ci consentirà anche di riflettere i valori e gli impegni che abbiamo oggi e di portare alla ribalta nuove voci e idee».

David Dibosa, della University of the Arts di Londra, ammette che le discussioni con le persone consultate «non sono state facili». Amia Srinivasan, professoressa dell’Università di Oxford, parla di «profondo disaccordo» nelle conversazioni.

Altri due membri, dipendenti della Tate, Mark Miller e Rachel Noel, affermano che ci sono state «conversazioni difficili».
Gli amministratori della Tate avevano già riconosciuto il murale come un’opera d’arte. Pur ammettendo che essa riflette gli atteggiamenti nei confronti della razza e dell’impero di un secolo fa, in quanto opera d’arte non può essere rimossa, danneggiata, oscurata o chiusa in modo permanente.

Gli amministratori hanno infine accettato il consiglio del Rex Whistler Mural Discussions: un artista contemporaneo sarà «invitato a creare una nuova installazione site-specific nella stanza, che sarà poi aperta ai visitatori come spazio espositivo». La nuova opera «sarà esposta accanto e in dialogo con il murale, riformulando il modo di vivere lo spazio», che sarà anche accompagnato da «nuovo materiale interpretativo che si rapporterà in modo critico con la storia e il contenuto del murale, compreso il suo immaginario razzista».

Tate sta ora iniziando il processo di selezione di un artista contemporaneo, quasi sicuramente di colore, probabilmente del Regno Unito, il nome sarà fatto sapere fra tre mesi e la sala sarà probabilmente riaperta il prossimo inverno. Sebbene Tate non rilasci ulteriori dichiarazioni e non sia disposta a discutere i nomi, una possibilità potrebbe essere Lubaina Himid, nata a Zanzibar e cresciuta in Gran Bretagna (protagonista di una grande mostra alla Tate Modern fino al prossimo 2 ottobre).

Tra le opzioni possibili ci sarebbe quella di oscurare temporaneamente le scene senza danneggiare il dipinto, oppure metterle in luce e commentarle. Sicuramente notorietà che l’opera ha acquisito grazie a queste cotestazioni attirerà un numero enormemente maggiore di visitatori aumentandone la visibilità rispetto a quando era un ristorante.

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