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Dario del Bufalo
Leggi i suoi articoliMolte cose buone sono state fatte per la Regina Viarum dai tempi di Antonio Cederna e del suo articolo «I gangster dell’Appia» (1953). Sono stati proposti e approvati molti decreti ministeriali e vincoli totali di inedificabilità, nel 1953 è stato dichiarato di pubblico interesse il tratto da Porta San Sebastiano a Boville (Frattocchie), nel 1965 il Piano Regolatore di Roma ha destinato a parco pubblico 2.500 ettari di territorio circostante, nel 1988 è stato istituito il Parco Regionale dell’Appia Antica e nel 1997 al Parco sono state annesse altre aree di pregio naturalistico e salvaguardia dell’ambiente.
Ciononostante il territorio dell’Appia Antica (da Roma a Brindisi) è stato e resta un Far West di abusivismo edilizio, una frontiera di discariche certificate Unesco, un villaggio di depositi e baracche alla «Sporchi, brutti e cattivi», un insieme di attività industriali pestilenziali, un territorio di antica prostituzione.
La casa della mia famiglia si trova a pochi chilometri da Tor Carbone e da ragazzo andavo con gli amici a fare scorribande con le Vespe e i Ciao sulla parte più selvaggia dell’Appia. Il percorso preferito era quello che va da Via di Tor Carbone al Gra. L’antica Via era costellata di felliniane prostitute che ci mandavano a quel paese inveendo nei vari dialetti. Erano incastonate nei buchi nero-selce dei sepolcri romani, immobili tutto il giorno su sediole o vecchie poltrone sfondate e aspettavano che comparisse un cliente, possibilmente su di una 127 o una 128, auto preferite per via dei primi sedili ribaltabili (altrimenti si consumava sui materassi lerci all’interno delle tombe). Altre volte invece di inveire urlavano: «A regazzì, viè qua che te faccio vede na bella cosa!», allargando le gambe per mostrarci l’origine del mondo. Sono sicuro che le anime dei defunti romani dell’Appia Antica preferissero questa «vitale prostituzione» piuttosto che la discarica o l’abusivismo edilizio.
La più bella pittura di quel mondo è stata la scena del raccordo anulare del film «Roma» di Fellini. Oggi direi che il degrado è lo stesso, ma cambierei il regista. Pier Paolo Pasolini sarebbe il miglior ritrattista per una «Regina» piena di rifiuti abbandonati sui basoli romani e con la prostituzione omosessuale giovanile che anima i vecchi marmi. Ma se gli usi e gli abusi sono gli stessi di 50 anni fa, a che cosa servono gli inutili guardiaparco, i super-pagati direttori dell’Ente o il Commissario speciale del Parco? Se della tratta San Sebastiano-Boville, dopo 60 anni di lotte e di spese folli, meno della metà è stata «bonificata», a che cosa servono il vincolo del Ministero o il Patrimonio mondiale dell’Unesco? Saranno anche queste markette?
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