Quella Roma di geni e mammozzoni

Franco Fanelli |

È stato un grande pittore, Cy Twombly, uno dei più celebri fra gli «americani a Roma», a dire che la città, negli anni Cinquanta e Sessanta, «era un paradiso». Se New York aveva sostituito il ruolo di capitale delle avanguardie per tanti anni ricoperto da Parigi, Roma riusciva, in quel periodo di rinascita economica e culturale, a riunire in sé l’effervescenza creativa e intellettuale di entrambe mantenendo però intatta, forse per l’ultima volta nella storia, quella sua identità così com’era andata configurandosi tra Cinquecento e Seicento, a un tempo snob e popolana, raffinata e cialtrona, splendida e miserabile, innovativa pur nel suo ineludibile radicamento nell’Antico.

Modello Sorelle Fontana, Roma 1952. Foto Regina Relang. Courtesy MÜnchener Stadtmuseum, Sammling Fotografie, Archiv Relang

Testimone dell’epoca è Stefano Malatesta, giornalista e scrittore. Cosmopolita da sempre, la Roma che si spalancava sotto i suoi occhi di adolescente lo fu ulteriormente con l’irruzione del cinema e con l’arrivo di registi, attori e
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