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Prima facciamo il manager, poi il parco

I nodi irrisolti e le omissioni della politica culturale regionale

Silvia Mazza

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Un documento promosso da «Il Giornale dell’Arte», e sottoscritto da Italia Nostra e Legambiente (sul nostro sito online, sezione «Lettere al giornale»), accende i riflettori su due ordini di questioni in merito alla controversa politica culturale del presidente della Regione Siciliana. Una denuncia, perlatro, già da aggiornare con quella che Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia, non esita a definire «un osceno emendamento alla Finanziaria»: quello con cui Rosario Crocetta «vuole cancellare i piani paesaggistici». «Neanche precedenti governi, prosegue Zanna, guidati da presidenti accusati o condannati per rapporti con la mafia erano mai arrivati a tanto». La norma, accusata di incostituzionalità, «prevede, spiega, una deroga generalizzata per le opere di “pubblica utilità”, che per legge sono tutte le opere pubbliche più le opere private o di concessionari di servizi e lavori pubblici che possono essere dichiarate tali (un elettrodotto, un porto turistico, un parcheggio, una discarica, un inceneritore ecc.)». Inoltre, «interviene a ritroso pure su opere per cui si sono definiti i provvedimenti di diniego in contrasto con i piani recentemente approvati e, cosa più grave, sposta sul livello politico la valutazione di compatibilità di un’opera con le norme di tutela paesaggistica, che è questione prettamente tecnica». L’ennesima azione che viene così a definire il quadro di una gestione del patrimonio e dell’ambiente piena di ambiguità e contraddizioni.

Per la prima delle due questioni di cui dicevamo, infatti, Rosario Crocetta sembra scoprire, a fine legislatura, la strategicità della cultura come volano di sviluppo economico e annuncia una riforma pseudocopia di quella Franceschini, per cui la direzione dei parchi archeologici (oggetto di una nostra inchiesta sul quadro caotico in questo settore, anch’essa online) andrebbe a direttori manager esterni all’Amministrazione. Per il momento si tratterebbe soltanto della Valle dei Templi, Selinunte e Segesta (ma perché quest’ultimo, solo perimetrato, e non Naxos istituito?). Solo tre nuovi direttori, dunque, da intercettare tra quanto di meglio può offrire il panorama culturale nazionale e internazionale, che non si sa per quale ragione dovrebbero accettare di essere precipitati in un’isola allo sbaraglio, tra fondi ridicoli riservati ai Beni culturali (1,2 milioni nel bilancio 2016 per investimenti nei siti; un solo esempio: al polo museale di Catania solo 4mila euro) e siti in abbandono, con musei dai tetti colabrodo (Museo Orsi di Siracusa) o in cui mancano lampadine, contratti telefonici e carta per le stampanti, e aree archeologiche inghiottite dalla vegetazione e chiuse ai visitatori le domeniche e i festivi. 

La questione, infatti, richiede in Sicilia la valutazione di una pluralità di fattori che supera esponenzialmente i fronti di criticità già considerati a livello nazionale alla vigilia del concorso per direttori dei venti «supermusei» statali. Quali risorse finanziarie verranno messe a disposizione di questi nuovi dirigenti per far decollare i parchi finché non saranno in grado di gestirsi autonomamente? Sarà poi chiesto loro di districarsi nelle pastoie burocratiche e nelle trattative sindacali; avranno «in dotazione» personale invecchiato e demotivato, numericamente sottostimato e zavorrato dal blocco del turnover. Bisognerà poi verificare quale significato verrà attribuito alla parola «autonomia», in un settore in cui l’interferenza politica è sistemica.

Seconda questione. Da ben otto anni si attende il reinsediamento del Consiglio regionale dei Beni culturali e ambientali, omologo (ma con sostanziali differenze) a quello «superiore» del Mibact. Da tutto questo tempo manca il suo parere su tutte le più rilevanti questioni attinenti la tutela e la valorizzazione del patrimonio regionale e, negli ambiti di sua competenza, sulla programmazione della Regione e la relativa attuazione. Benché la macchina sia stata rimessa in moto l’aprile scorso, con la proposta di ricomposizione inviata dall’assessore Carlo Vermiglio alla Giunta, Crocetta non ha ancora approvato il decreto di nomina dei componenti. Ma anche quando ciò dovesse avvenire, che Consiglio sarà? Cinque membri su 15 saranno politici; non è assicurata la presenza di un archeologo (in Sicilia!), tanto che, per istituire i parchi archeologici per i quali la legge richiede il parere del Consiglio, bisognerà ogni volta convocare un esperto esterno; non è prevista la presenza di personalità «eminenti» del mondo della cultura, nel rispetto dell’equilibrio di genere, così come previsto nel Consiglio Superiore nazionale. Al loro posto, chi? Architetti, ingegneri e avvocati, nominati dai rispettivi Ordini. Il rappresentante di Italia nostra (o di un’altra associazione culturale e ambientalista, come Legambiente) è stato infine depennato.

Da una lettura delle rispettive norme giuridiche (quelle statali e quelle della Regione con competenza legislativa primaria) emerge che quello siciliano, più che un organo consultivo a carattere tecnico-scientifico come quello Mibact, si configura piuttosto, per la compresenza di «tecnici» e politici, come un organo ibrido, in cui il presidente della Regione ha un ruolo chiave. A differenza, infatti, del Consiglio Superiore che è consultivo del ministro, quello regionale è consultivo proprio del presidente, che lo nomina, lo presiede, partecipa ai lavori e lo convoca. E, malgrado ciò, ancora non l’ha nominato. 

Che cosa succede, quindi? Che Crocetta (il presidente che non insedia il Consiglio regionale, organo che servirebbe a istituire i parchi archeologici, che dovrebbero essere guidati da superdirettori) annuncia una riforma al motto di: prima facciamo il manager, poi il parco.

Silvia Mazza, 11 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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