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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliLa mostra «Synchronicity» a Palazzo Pretorio, recentemente riaperto dopo anni con un nuovo allestimento, è ispirata dall’intento di creare un raccordo storicamente fondato sulle due anime di Prato: quella antica di città fiorente legata a figure come il mercante Francesco di Marco Datini o a vicende come l’Officina pratese, intorno alla fabbrica del Duomo, e quella contemporanea, riassunta dalla trentennale attività del Centro Pecci.
Il curatore Stefano Pezzato propone, attraverso opere contemporanee provenienti da importanti collezioni e gallerie toscane e italiane, una lettura inedita delle opere del museo pratese, per porre in rilievo la dimensione originale di «sincronicità» fra il presente (dal 1962 al 2010) e il passato.
Pezzato spiega che non si tratta di semplice «sincronia» temporale, quanto appunto di «sincronicità» in senso junghiano, quindi «coincidenze significative» fra opere contemporanee e opere storiche associate in modo evidentemente arbitrario, «per le quali la nostra conoscenza non ha spiegazioni causali da offrire».
Il percorso accoglie dunque video e installazioni che creano un coinvolgimento ambientale e che sono legate al territorio toscano e pratese, come «Merlo» (1974), realizzato da Joan Jonas sulle pendici collinari di Artimino, prodotto in video a Firenze da art/tapes/22, sia innesti contemporanei sala per sala, a partire dalla serie di «Homes for America» (1966) di Dan Graham a confronto con la «Veduta di Piazza del Duomo di Prato», dipinta tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, o dalla figura di Giovanni Battista, presente in varie tavole dipinte di Filippo e di Filippino Lippi, che ispirano il «San Giovanni» (1972) di Luigi Ontani.
Vi sono poi nuclei tematici come quelli del lavoro e della politica, trattati da Santiago Serra, Margherita Morgantin o Lucy e Jorge Orta; il rapporto tra natura e scienza con Vittorio Corsini, i meccanismi di consumo con Sylvie Fleury, che rende omaggio alla tela bucata di Fontana. E ancora, tra le altre, opere di Abramovic, Giraldi, Rotella, Zorio, Rauschenberg, Barney e Pistoletto, fino agli accostamenti tra Warhol e Lipchitz (di cui il museo ospita un nucleo di opere donate dagli eredi) «esemplari», per dirla con Pezzato, di una «sincronicità che raggiunge coincidenze cronologiche oltreché semantiche».
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