«RFV0428» (1978), di Gianfranco Chiavacci. © Gianfranco Chiavacci

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«RFV0428» (1978), di Gianfranco Chiavacci. © Gianfranco Chiavacci

Pistoia riscopre il suo Chiavacci postumo

È un momento fortunato per l’artista: era presente ad Arte Fiera a Bologna, è oggetto di una retrospettiva a Palazzo Fabroni ed è annunciato a The Phair a Torino

Presente nell’edizione appena conclusa di Arte Fiera a Bologna, atteso a Pistoia il 25 marzo al Museo del Novecento e del Contemporaneo di Palazzo Fabroni in una grande retrospettiva curata da Bruno Corà, e annunciato a The Phair, la fiera di fotografia di Torino che si terrà il prossimo 5-7 maggio: Gianfranco Chiavacci (Cireglio, Pt, 1936-Pistoia, 2011) non è più un artista da scoprire.

Il suo lavoro fu esposto per la prima volta a Mia Photo Fair nel 2012 (un anno dopo la morte) dalla galleria Die Mauer. Presentato come un artista sconosciuto, ma sorprendente per la ricerca in campo fotografico e artistico, fu da subito scelto da Guido Bertero, tra i più raffinati e colti collezionisti in Italia. L’Archivio, gestito dalla galleria in stretta collaborazione con il figlio dell’artista, Carlo, si trovava di fronte a un patrimonio immenso di scatti e progetti mai usciti dallo studio, rigorosamente catalogati e ordinati nel tempo.

Da allora molta strada è stata fatta, a partire dal 2019, quando Chiavacci fu accettato per un solo show a Paris Photo, presenza poi confermata anche gli anni a seguire. «Chiavacci è interessato a sviscerare le logiche di quelle che considera le due macchine rivoluzionarie del Novecento: la fotocamera e il computer, inteso come linguaggio», spiega Piergiorgio Fornello della Galleria Die Mauer. «Da qui, inizia l’impianto teorico intorno al quale ruota tutta la sua produzione fotografica», iniziata nel 1968.

L’artista, che aveva a lungo lavorato sul codice binario, vede nella fotocamera una particolare assonanza a quella logica a due stati, zero-uno, spento-acceso, assente-presente tipici del sistema a due cifre. Anche l’otturatore risponde perfettamente a questo dualismo, generando a sua volta le variabili «esposto o non esposto». Ne scaturisce un lavoro molto vario, a volte astratto, ma sempre concettuale, affascinante e spesso intelligentemente ironico.

A volte, artisti rimasti nell’ombra per lunghi anni trovano consacrazione e fama quasi inaspettatamente, in tarda età o anche dopo la morte, com’è accaduto con Vivian Maier e Miroslav Tichý. Presupposto perché ciò accada è naturalmente la qualità del lavoro che preme per non rimanere dimenticato. Quella dell’artista, fotografo pistoiese Gianfranco Chiavacci è una storia emblematica, con lieto fine.

«RFV0428» (1978), di Gianfranco Chiavacci. © Gianfranco Chiavacci

Chiara Massimello, 30 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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Pistoia riscopre il suo Chiavacci postumo | Chiara Massimello

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