Per la Cassazione solo la famiglia cataloga Schifano

Negato a una Fondazione dal nome ambiguo, M.S., il diritto di pubblicare senza il consenso degli eredi sei volumi con la catalogazione non soltanto informatica di 24mila opere

Mario Schifano. Foto Uliano Lucas
Gloria Gatti |

La Corte di Cassazione (ord. 4038/2022) ha definito il contenzioso tra l’Archivio Mario Schifano e la Fondazione M.S. Multistudio stabilendo che la riproduzione delle immagini delle opere dell’artista, pubblicate nello «Studio metodologico riguardante la catalogazione informatica dei dati relativi alle opere di Mario Schifano presenti presso la Fondazione» edito dalla Fondazione M.S., costituisce lesione dei diritti patrimoniali che invece spettano in esclusiva agli eredi.

Infatti, perché la pubblicazione era diffusa (e venduta) anche su carta, non si può applicare né l’eccezione della libera riproduzione di cui all’art. 70 LDA né quella prevista dal co. 1 bis («libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro»). Questa ordinanza eleva quindi a principio di diritto una questione delicata e dibattuta, facendo propria un’interpretazione letterale di una norma di carattere generale valida per tutte le opere dell’ingegno che tuttavia meno facilmente si concilia con le opere di arte figurativa.

La norma afferma infatti che «la riproduzione di opere d’arte, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime, non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera; per godere del regime delle libere utilizzazioni, inoltre, detta riproduzione deve essere strumentale agli scopi di critica e discussione, oltre che al fine meramente illustrativo correlato ad attività di insegnamento e di ricerca scientifica dell’utilizzatore e non deve porsi in concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera che compete al titolare del diritto: diritto che ricomprende non solo quello di operare la riproduzione di copie fisicamente identiche all’originale, ma qualunque altro tipo di replicazione dell’opera che sia in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione, e quindi anche la riproduzione fotografica in scala».

Ma se «citare» un passo di un libro o un’aria di un’opera lirica può essere sufficiente a fini di critica o di illustrazione di un pensiero, la riproduzione soltanto parziale, di un solo dettaglio di un dipinto o di un’opera d’arte, può risultare insoddisfacente a corredare in modo adeguato uno studio critico o descrittivo. Il Tribunale di Napoli (sentenza 3.6.2010), in un caso che contrapponeva un editore a Roberto Saviano, aveva stabilito che l’art. 70 LDA non è «affatto norma di natura eccezionale o comunque di stretta interpretazione» perché corrisponde «a precisi valori costituzionali di grado superiore agli stessi diritti patrimoniali d’autore, vale a dire la libertà di manifestazione del pensiero e quella di arte o di scienza».

Una tesi inappuntabile che tuttavia non è stata condivisa dalle magistrature superiori nonostante la Direttiva europea 2001/29 sul diritto d’autore nella società dell’informazione avesse liberalizzato la riproduzione integrale di opere «allorché l’utilizzo ha esclusivamente finalità illustrativa per uso didattico o di ricerca scientifica, sempreché, salvo in caso di impossibilità, si indichi la fonte, compreso il nome dell’autore, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale perseguito» (e a condizione che risulti non pregiudizievole con i diritti costituzionalmente garantiti dai singoli Stati membri).

Per le fotografie «semplici» l’art. 91, co. 3 LDA consente, dietro il pagamento di un equo compenso, la riproduzione delle immagini non inedite anche senza il consenso dell’autore. La norma però fa riferimento solo alle fotografie, non alle opere d’arte riprodotte, e pertanto questo precedente che di fatto concede il monopolio sulle immagini integrali delle opere ai soli eredi di un artista rischia di venire strumentalizzato per creare monopoli che non escludono possibili e discutibili fini censori nei cataloghi generali o nel mercato. La Cassazione si era già pronunciata negando «al proprietario cessionario dell’originale dell’opera, il diritto di pubblicizzarla con la sua riproduzione su catalogo» di una mostra (Cass. Civ. n. 11343/1996) e la tesi era stata fatta propria dal Tribunale di Cagliari, (ord. 19.01.2021 e 24.03.2021) nel contenzioso che contrapponeva l’erede di Maria Lai alla Fondazione Stazione dell’arte.

Ora però tra i numerosi effetti di questa pronuncia che censura (secondo chi scrive, giustamente) la Fondazione M.S. Multistudio per aver pubblicato i 6 volumi contenenti le riproduzioni di 24mila immagini di opere di Schifano (che lei sola aveva archiviato) offerti su Ebay a 1.900 euro, non solo il rischio di nuocere anche al Museo di Ulassai nel caso Maria Lai, ma addirittura di venire contestata come un ostacolo alla democratizzazione della cultura.

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