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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliChi è Phyllida Barlow? È un’ex insegnante in una delle più prestigiose scuole d’arte del mondo, la Slade di Londra. Per anni (oggi ne ha 72) questa stimata docente e meno nota scultrice ha visto i suoi studenti più dotati, gente come Rachel Whiteread, Tacita Dean, Douglas Gordon e Martin Creed, affermarsi nello star system dell’arte contemporanea
Non sappiamo se abbia assistito al successo dei suoi ragazzi con orgoglio o con un pizzico d’invidia (o magari entrambi nell’inestricabilità tra i due sentimenti) né se abbia mai confrontato il suo stipendio con il conto in banca degli ex allievi. Sta di fatto che, ormai in pensione, la Barlow è passata dalla categoria dei professori a quella dei maestri: una fulminea evoluzione della specie, avrebbe commentato il suo avo Charles Darwin. Dopo una più che tranquilla carriera artistica in gallerie e sedi di non primaria importanza, a un certo punto, qualche anno fa qualcuno si è accorto di lei.
E allora, come si dice, «ha svoltato»: nel 2013 Massimiliano Gioni l’ha voluta tra i molti outsider del suo «Palazzo Enciclopedico» alla Biennale; la rapace galleria Hauser & Wirth è piombata su di lei e quest’anno, mentre l’oscuro Leicester del sessantacinquenne allenatore Claudio Ranieri vinceva inopinatamente la Premier League, è stata nominata artista rappresentante della Gran Bretagna alla prossima Biennale di Venezia.
Il caso Barlow non è così raro in un mercato che sta riscoprendo, oltre ai mid-career, anche gli outsider e, nel caso specifico, gli ignorati, ormai imprescindibili in ogni biennale. La ragione è nota: affiancando questa seconda categoria di attempati «emergenti» a quella dei giovani artisti, si stuzzica ulteriormente una delle velleità del collezionismo, la «scoperta».
L’unica caratteristica che unisce le due fasce di emergenti, i giovani e gli anziani, è la durata: professionale per i primi, fagocitati da un mercato in cui i tempi dell’usa e getta sono sempre più rapidi, fisica per i secondi. I quali, tuttavia, hanno più chance, se non di immortalità almeno di «tenuta».
Intanto l’età dei soggetti consente di attingere a un congruo deposito di opere, atto a rispondere a una domanda che si spera cospicua e internazionale. Inoltre, a pensar male, in un post mortem fatalmente non lontano, qualora la richiesta dovesse mantenersi alta, le opere, miracolosamente e spesso impunemente, potranno moltiplicarsi.
Non manca, in tutto ciò, il paradosso: i galleristi che vogliono mantenersi nella fascia del mercato primario dovranno sempre più far ricorso ai pensionati. In un sistema in cui i giovani artisti vengono scoperti, svezzati e promossi prima dai collezionisti, dalle biennali e dai musei che dalle gallerie, il mercato secondario (se non in senso economico, di certo nell’offerta estetica) ormai accomuna il trentenne e de Chirico, Picasso e l’emergente giovane ma già di seconda mano, anzi, un usato insicuro.
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