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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliIl Pav-Parco Arte Vivente ha festeggiato dieci anni lo scorso 23 settembre, con performance, incontri, attività educative e concerti che hanno coinvolto tanti cittadini e addetti ai lavori. In due lustri, e attraverso numerose mostre, workshop e iniziative, un’ex area industriale incolta e abbandonata di 23mila metri quadrati si è trasformata in un centro di sperimentazione perfettamente integrato nel sistema museale cittadino, immerso in una vegetazione rigogliosa. Insomma, un esempio concreto del potere rigenerativo dell’arte. È un’operazione che incarna appieno lo spirito del suo fondatore e presidente, Piero Gilardi (1942), artista torinese, eclettico frequentatore dell’Arte povera, conosciuto nel mondo per i suoi poliuretanici «Tappeti natura».
Dal 2015 il Pav è diretto da Enrico Bonanate, che ha affidato la programmazione artistica al curatore internazionale Marco Scotini (sua, per esempio, la direzione della Biennale di Yinchuan conclusasi a settembre). «Il titolo della nostra mostra del 2014 “Vegetation as a Political Agent”, spiega Bonanate, racchiude lo spirito con cui il Pav indaga il rapporto tra natura e cultura, in una prospettiva nella quale narrazione, analisi e riflessione delle e sulle vicende sociali, storiche e politiche non sono mai scisse dall’ambiente in cui si situano. A dispetto dello spessore teorico degli argomenti trattati, uno degli obiettivi del Pav è di non porsi in maniera esclusiva rispetto al proprio pubblico, che oggi come all’origine è trasversale, composto da addetti ai lavori e non. Vogliamo continuare a proporci come crocevia di diversi campi d’interesse, capaci di intercettare e far comunicare mondi distanti. Quel che più ci interessa sono la prospettiva d’insieme e i risultati sul lungo periodo».
Tra le numerose opere realizzate nel corso degli anni nell’area esterna del museo, sono da ricordare gli interventi di Land art «Trèfle» di Dominique Gonzalez-Foerster e «Jardin Mandala» di Gilles Clément, una ragguardevole collezione a cielo aperto.
La mostra che celebra il decennale è una personale di Zheng Bo, visitabile dal 4 novembre al 24 febbraio. L’artista cinese (Pechino, 1974) esplora la relazione tra arte ed ecologia nel continente asiatico, indagando il rapporto tra piante, società e politica: la catena di sfruttamento che lega natura e lavoratori alla classe dirigente, ma anche l’incontrollabile insorgenza di piante e movimenti politici spontanei, considerati dall’artista un’inestirpabile forma di resilienza.
Per la serra del museo torinese Zheng Bo ha ideato la grande installazione-giardino «After Science Garden», realizzata con specie botaniche locali, in collaborazione con ricercatori e attivisti del territorio per stimolare la formazione di movimenti ecologisti. In mostra anche gli erbari grafici della serie «Survival Plant Manual I e II», che indaga sopravvivenza ed estinzione di specie vegetali, la maquette «A Chinese Communist Garden in Paris» e due film della trilogia «Pteridophilia», il cui ultimo capitolo, in preparazione, verrà presentato alla prossima Biennale di Taipei. La catalogazione e rielaborazione delle piante cittadine, in chiave relazionale, è anche al centro dei laboratori proposti dal dipartimento educativo del museo.

«A Chinese Communist Garden in Paris (Workshop III, December 14-15, 2016, École du Breuil, with second-year students)» di Zheng Bo, 2016. Foto cortesia dell'artista