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Nessuno per il Museo Richard Ginori, neanche il Mibact

È rimasta invenduta all’asta giudiziaria del 23 febbraio la storica collezione della Manifattura di Doccia

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Laura Lombardi

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È rimasta invenduta all’asta giudiziaria del 23 febbraio (per la seconda volta: era già andata deserta l’asta del giugno 2016) la storica collezione della Manifattura di Doccia fondata nel 1737 dal marchese Carlo Ginori e nel 1896 ceduta dalla famiglia Ginori al ceramista milanese Augusto Richard. Ubicata a Doccia fino agli anni Cinquanta, la Manifattura Richard Ginori fu poi trasferita a Sesto Fiorentino dove, in un edificio costruito ad hoc da Pier Niccolò Berardi, nel 1965 è stato inaugurato il Museo della collezione storica.

Il patrimonio del museo ammonta a circa 15mila pezzi, interamente catalogati sotto la direzione di Cristina Gnoni Mavarelli della Soprintendenza e ai quali era stato imposto il vincolo pertinenziale all’edificio di Berardi. Il museo, che ospita preziose porcellane ma anche i calchi originali di opere andate perdute, è chiuso dal 2014 quando il curatore fallimentare dichiarò la cessata attività della Richard Ginori. Oggi versa in pietose condizioni: le vetrine che accolgono le opere sono danneggiate, molte coi vetri infranti e il degrado è tale (vi piove anche dentro) che si può accedere solo con le mascherine; alcune opere sono state portate in salvo, specie le cere, ma la maggior parte resta in loco. Il museo era stato svincolato dall’azienda, che è ora divenuta di proprietà di Gucci, in modo da evitare che le opere potessero essere strumento di marketing. L'intento, fermamente espresso dalla direttrice del museo Oliva Rucellai, era di proseguire con un’attività di ricerca e di didattica legata al territorio (cfr. n. 358, nov. ’15, p. 22).

Come mai un patrimonio di così alto rilievo storico, oltre che estetico, sta subendo questo destino? Inizialmente il valore del museo era stato stabilito molto alto, circa 26 milioni di euro: una mossa per salvare la Ginori dal fallimento, visto che all’epoca museo e azienda erano vincolati e si pensava che il patrimonio del museo potesse essere usato per pagare le tasse e alleggerire il debito dell’azienda, che invece fallì. A quel punto la valutazione del museo scese moltissimo assestandosi intorno a qualche milione di euro. Nonostante l’impegno costante dell’Associazione degli Amici di Doccia, che continua a pubblicare la rivista «Quaderni degli Amici di Doccia» (edita da Polistampa) nella quale si riflette il notevole interesse verso questo ambiti di studi (interesse confermato dai prestiti di opere a importanti mostre compiuti dal museo fantasma in questi anni), il Museo sembra destinato all’oblio.

In un convegno tenutosi lo scorso febbraio a Palazzo Pitti, il soprintendente per Firenze, Prato e Pistoia Andrea Pessina e il direttore del Polo Museale toscano Stefano Casciu avevano ribadito l’importanza del bene auspicando l’acquisto da parte dello Stato e la configurazione di una forma di gestione pubblico-privato condivisa con gli Enti territoriali. Ma né il Ministero, né altri sembrano aver accolto quell’auspicio.
 

Laura Lombardi, 11 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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