Antonio Patuelli

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Antonio Patuelli

Nelle «Romagne» arte, cultura e turismo ambientale

Per Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, un forte tessuto imprenditoriale è la forza di una regione diversificata e pluralista, che patisce le carenze delle infrastrutture ferroviarie

Stefano Luppi

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Antonio Patuelli, bolognese, settantenne, è il presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi) e dell’istituto di credito La Cassa di Ravenna dal 1995.
Banchiere, editore e studioso del Risorgimento italiano, molto attento al mondo della cultura e della storia, editorialista del «Quotidiano Nazionale» («Resto del Carlino» di Bologna, «La Nazione» di Firenze, «Il Giorno» di Milano), Patuelli si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Firenze nel 1975 e ha sempre operato come giornalista.

Per la trasmissione Rai «Tribuna elettorale» ha intervistato personaggi come Giorgio Almirante, Enrico Berlinguer e Aldo Moro. Attuale vicepresidente di CartaSì, nel corso degli anni è stato vicepresidente dell’Associazione delle Fondazioni e di Casse di Risparmio (Acri) e membro del Consiglio e del Comitato di Gestione del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Negli anni Ottanta è stato parlamentare del Partito Liberale Italiano e nel 1993-94 sottosegretario alla Difesa nel Governo Ciampi.

Come valuta lo stato generale della cultura e dell’attività espositiva regionale dopo tanti mesi di chiusura forzata?
Emerge in ogni aspetto della quotidianità una grande voglia di vita che si esprimerà certamente in maniera forte in tutti i settori culturali, man mano che saranno allentate le misure prudenziali anti Covid. Certamente i lunghi mesi delle chiusure hanno particolarmente penalizzato un settore così complesso e anche delicato come quello dell’arte e della cultura in genere, ma la volontà di resistere e di reagire è stata ed è fortissima e, quindi, confido che prevalga l’ottimismo della volontà.

Cambierà qualcosa nell’organizzazione di mostre e musei?
Tutti i musei e tutte le mostre hanno caratteristiche distinte, vi è un grande pluralismo nel mondo della cultura. Quindi i cambiamenti (al plurale) non saranno uniformi, ma differenziati, anche tenendo conto dell’esperienza della dura emergenza pandemica. Certamente dopo lunghi mesi di fruizione digitale è fortemente cresciuta l’esigenza delle visite e delle partecipazioni in presenza, per cui saranno ancor più importanti gli orari di ingresso di musei e mostre. Più saranno ampi, meglio sarà.

Lei conosce bene la Romagna...
Sono un pendolare in tutta Italia. Fino al 1859 la Romagna era istituzionalmente definita al plurale «Le Romagne», come testimonianza di forte pluralismo, di territori che allora comprendevano anche Bologna e Ferrara. La Romagna del nuovo millennio è fortemente differenziata e al tempo stesso integrata. Negli ultimi anni sono cresciuti molto gli insegnamenti universitari decentrati dall’Università di Bologna e questo è uno stimolo e un ulteriore moltiplicatore di iniziative e strutture culturali molto importanti.

L’online si è diffuso in modo esponenziale. Che cosa salva delle esperienze digitali?
L’online dev’essere conservato, non è stato un fenomeno solo eccezionale. Ognuno dev’essere libero di fare visite di persona e sul web, anche ripetute. La libertà di scelta è fondamentale.

Prima della pandemia i turisti in Emilia-Romagna erano in forte crescita. Su che cosa punterebbe per una ripresa della crescita del turismo nel post pandemia? Sul turismo ambientale oltre che sulle città d’arte?
Il turismo in Emilia-Romagna realizza, soprattutto sulla costa, una specie di «California italiana». Tutti coloro che vi operano sono già fortemente impegnati a preparare un’estate con ogni garanzia di sicurezza e con ogni possibilità non solo di svago, ma sportiva, culturale, ambientale eccetera. Il turismo ambientale è molto qualificato e può certamente crescere tanto. Pochi ancora conoscono tutto il Delta del Po nella sua ampiezza: la parte nord è caratterizzata soprattutto dalle lagune, da Chioggia a Grado, con Venezia al centro, serenissima regina dell’Adriatico non solo per cultura, storia, beni culturali, ma anche per i delicati equilibri ambientali su cui regge. La parte sud del Delta del Po arriva sostanzialmente a influenzare l’ambiente fino a Cesenatico, con luoghi meno famosi della Camargue francese, ma certamente non meno interessanti per i vari aspetti che la natura offre in modo diversificato in ogni parte dell’anno, garantendo ampi polmoni che talvolta sorprendono e che coesistono con attività economiche differenziate. Sono certo che le varie attrazioni turistiche saranno un motore decisivo per la pienezza della ripresa in Romagna e in Emilia.

Lei dovrebbe sapere tutto di banche e fondazioni, enti che danno sempre grossi aiuti. Tutto funziona o ci sono cose da cambiare dopo il virus?
Ho più esperienza di banche che di fondazioni; sono fra loro diverse e di fatto anche complementari. I banchieri umanisti sono numerosi e attenti, oltre ai conti e al diritto, ai significati profondi morali, civili, sociali e culturali del far banca. Nel Novecento ci sono stati splendidi esempi di banchieri umanisti, da Raffaele Mattioli a Luigi Einaudi, a Guido Carli, a tanti altri che sono ancora d’esempio.

Qual è in regione la città o il luogo più innovativo?
L’Emilia-Romagna è frutto di una sintesi realizzata nel 1859-60 da un illustre romagnolo di Russi (Ravenna), Luigi Carlo Farini, allora dittatore degli ex Ducati di Modena e Parma e governatore delle Romagne, dopo la caduta degli antichi regimi nella fine primavera del 1859. Farini, per favorire la crescita del processo di unificazione italiana, pensò di superare anche le vecchie divisioni fra i Ducati dell’Emilia e le legazioni pontificie delle Romagne, abolendo i vecchi toponimi e unificando una regione molto grande, da Piacenza a Cattolica, che è la sintesi di quattro Stati: il Ducato di Parma e Piacenza, il Ducato di Modena e Reggio, il Ducato estense di Ferrara e le Legazioni pontificie che originariamente, per secoli, furono solo quelle di Bologna e Romagna con capitale Ravenna. L’Emilia-Romagna è, quindi, molto diversificata e pluralista, certamente con Bologna capoluogo regionale, ma con più città che hanno tradizioni da capitale come Ravenna, dell’Impero Romano d’Occidente e poi fino all’esarcato bizantino per tre secoli e mezzo, Parma, Modena e Ferrara per secoli capitali ducali. Questo pluralismo è rafforzato anche da un tessuto di città e cittadine molto dinamiche nelle quali gli orizzonti ampi dei mercati europei e di imprese lungimiranti travolgono ogni campanilismo, senza mai perdere la memoria della storia.

Da migliorare?
Le infrastrutture. L’alta velocità attraversa molta parte dell’Emilia-Romagna, ma occorre investire ancora nello sviluppo ferroviario sia delle linee verticali adriatiche sia in quella orizzontale del «treno di Dante», fra Ravenna e Firenze. E ugualmente occorre risolvere i pluridecennali problemi della E45 e realizzare finalmente la E55 con un efficiente e moderno collegamento fra Ravenna e Venezia.

La Romagna, a differenza dell’Emilia con Parma, Modena-Ferrara e Bologna, non ha musei autonomi dello Stato. Un handicap?
Anche in Romagna vi sono importanti musei. A Ravenna vi è anche il Museo Nazionale, nei prestigiosi e bellissimi chiostri attigui alla Basilica di San Vitale.

Come valuta l’operato del ministro della Cultura, il ferrarese Dario Franceschini?
Da banchiere seguo le regole indicate da Luigi Einaudi di indipendenza e di imparzialità. Conosco bene il ministro Franceschini anche perché è ferrarese, ne apprezzo l’impegno culturale, ma mi astengo da giudizi politici: non appartengono alla difficile arte del banchiere come aveva insegnato Einaudi.

Antonio Patuelli

Stefano Luppi, 23 giugno 2021 | © Riproduzione riservata

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