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Nelle gallerie dei tombaroli

Qualche settimana fa l’archeologo italo-guatemalteco Francisco Estrada-Belli ha annunciato il ritrovamento di due tombe miracolosamente scampate alla furia dei tombaroli nella città maya di Holmul (nord-est del Petén, Guatemala)

Antonio Aimi

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Questa zona di foreste lussureggianti, spopolata da mille anni e dal 1999 protetta da accordi fra Governo e comunità locali come polmone verde dell’umanità, è purtroppo ancora regno di cacciatori di frodo, trafficanti di immigranti e di droga e, da più di cento anni, dei «huecheros» (tombaroli).

La scoperta di queste due tombe di sicuro rango «reale» è certamente sorprendente, anche perché gli edifici in cui sono state ritrovate sono attraversati dalle gallerie dei tombaroli (alcune sono lunghe decine di metri e, addirittura, passano da parte a parte le piramidi di Holmul, creando gravi pericoli di crollo per gli archeologi).

Ciò nonostante è stato possibile portare alla luce un importante corredo funerario e gli edifici sovrastanti, che si sono mantenuti in eccellenti condizioni, perché, come spesso avveniva nelle città dell’antica America, erano stati inglobati dalle costruzioni posteriori. Dei risultati delle ultime campagne di scavo abbiamo parlato con Estrada-Belli, che avevamo intervistato tre anni fa (cfr. n. 336, nov. ’13, p. 28) per commentare i risultati delle ricerche condotte fino ad allora.

Quali sono i reperti più importanti venuti a luce in queste due tombe?
Abbiamo trovato ciotole e vasi dipinti, oggetti di giada e ossidiana, una tibia umana con dei glifi, una sezione di conchiglia usata dagli scribi come calamaio e lo scheletro di un personaggio, certamente un nobile, con incrostazioni di giada nei denti.

Quale rapporto esiste tra queste due tombe e lo splendido fregio ritrovato in passato?
Penso che in una di esse possa esser sepolto il re menzionato nel fregio: K’inich Tajal Tuun «Risplendente Torcia di Pietra», che aveva edificato un tempio funerario in onore del padre Tzahb Chan Yopaat «Dio del Tuono Fa Vibrare il Cielo». Fu ricavato da un edificio previamente usato come palazzo delle udienze bloccando le porte con pareti in muratura.

Le ricerche di questi tre anni hanno confermato l’ipotesi dell’«impero» maya della dinastia Kaanul?
Direi di sì. In una delle tombe abbiamo trovato un collare con un pendente raffigurante il giovane dio del Mais con l’inconfondibile copricapo del dio Sole. Sul retro del pendente un’iscrizione recita: «Questo è il collare di Yuknoom Uti Chan, divino re di Kaanul». E qui devo ricordare che Kaanul, cioè «Serpente», è il nome della dinastia che tra il 562 e il 731 esercitò una netta egemonia su tutta l’area maya.

La scoperta del pendente di giada di Yuknoom Uti Chan ci consente di affermare che, come col vaso di Buenavista, i re maya facevano la politica estera anche con l’arte?
Sì, specialmente nel caso di opere portatili. Mi sembra probabile che K’inich Tajal Tuun abbia ricevuto in dono questo gioiello dalle mani stesse del re Kaanul per conservarlo poi fino alla morte e portarlo nella tomba. Potremmo ipotizzare che i Maya considerassero questi oggetti d’arte come beni inalienabili per via del loro valore intrinseco e simbolico. Lo scambio di opere d’arte era uno dei veicoli principali per consolidare relazioni politiche (alcuni le chiamerebbero alleanze, ma, in realtà, erano relazioni gerarchiche tra re). Non è raro vedere rappresentazioni di incontri «diplomatici» di questo tipo nelle sculture in rilievo, come per esempio i pannelli e le scalinate glifiche.

I piatti e i vasi ritrovati sembrano opera di artisti di medio livello. Questo stride con la bellezza del fregio e col fatto che nella zona erano attivi grandissimi artisti. Come si spiega?
In effetti, mi sorprende molto. Sembrerebbe che i vasai di Holmul non fossero in grado di realizzare un’iscrizione vera e propria. È quindi probabile che l’iscrizione sul fregio sia stata fatta direttamente da un nobile o da scribi provenienti da Naranjo, una città vicina molto più potente di Holmul.

Antonio Aimi, 01 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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Nelle gallerie dei tombaroli | Antonio Aimi

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