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Nel nuovo Bailo non solo Martini

Veronica Rodenigo

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Riapre il 29 ottobre, dopo 12 anni di chiusura (di cui 2 anni e mezzo di cantiere), il Civico Museo Luigi Bailo. Fondato nel 1879 per volontà dell’omonimo abate come primo nucleo delle raccolte cittadine (poi ampliatesi e dislocate in altre sedi come Ca’ da Noal e Santa Caterina), il museo era stato chiuso al pubblico nel 2003 a causa di criticità strutturali e inadeguatezza impiantistica.

A seguito di un finanziamento europeo (Por Cro Fesr 2007-13) per 3,3 milioni di euro ai quali se ne devono aggiungere 1,7 reperiti dal Comune, una prima porzione del complesso (il chiostro sud e il primo piano; per la seconda tranche bisognerà attendere ulteriori finanziamenti) torna a nuova vita su progetto di Marco Rapposelli, Piero Puggina (Studio Mas, Padova) e Heinz Tesar, sviluppato in stretto dialogo con il piano museologico elaborato da Maria Elisabetta Gerhardinger, Emilio Lippi, Eugenio Manzato, Marta Mazza e Nico Stringa.

Il disegno per la rinnovata struttura museale dedicata alle opere dell’Ottocento e del Novecentro trevigiano (1.800 mq tra esposizione permanente, 3 sale per mostre temporanee, una sala polivalente per conferenze e laboratori didattici, spazi per uffici e depositi) è connotato da una ridistribuzione degli spazi interni e un ripensamento della facciata totalmente bianca: un nuovo atrio urbano, elevato rispetto al piano di strada, costituisce una sorta di podio che introduce all’ingresso; una grande finestratura verso il chiostro interno consente la visione anche dall’esterno del gruppo scultoreo della vera da pozzo raffigurante «Adamo ed Eva» di Arturo Martini (1931), acquisito dal Comune negli anni ’90 grazie a una pubblica sottoscrizione. All’interno, a fare da ideale filo conduttore del percorso è sempre il cittadino illustre, di cui le collezioni civiche detengono la più cospicua raccolta oggi esistente.

Ma se Martini ritorna nel percorso (con un corpus che spazia dalla scultura alla ceramica alla grafica e alla pittura) intersecandolo e innescando «inediti raffronti e relazioni», sarebbe riduttivo focalizzare solo sul celebre scultore l’attrattiva dell’intero museo. In tutto 21 ambiti, partendo da una panoramica della pittura trevigiana del secondo Ottocento (con i Ciardi e i loro epigoni) attraversano il Novecento con Gino Rossi e gli anni delle mostre di Ca’ Pesaro, piccole monografiche tra le due guerre (Nino Springolo, Bepi Fabiano, Nino Bianchi Barriviera, Giovanni Barbisan) per chiudere le ultime due sale con gli studi d’artista a Treviso nel Novecento: gessi e bronzi di Carlo Conte e un focus su grafica e incisione.

Veronica Rodenigo, 10 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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