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Nanda Lanfranco, elogio della lentezza

Un ricordo della fotografa genovese, scomparsa il 31 ottobre

Anna Costantini

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Incontrare Nanda Lanfranco, morta il 31 ottobre scorso a ottantotto anni, richiedeva un cambiamento di passo: le sue case-studio a Genova e poi a Pieve Ligure, così come l’amata «dimora» di Vescina sono stati con lei luoghi atemporali dove ogni oggetto, colore, profumo invitava a rallentare, a lasciare fuori tutto ciò che si pretendeva di essere e scegliere, senza quasi accorgersene, di parlare più piano e muoversi più lentamente («I tempi lunghi fanno parte del mio modo di vedere la fotografia anche se poi capisco che è in un attimo che scegli», mi disse nel dicembre 2017, in un’intervista rimasta inedita).

Il suo modo di essere riservata è stato uno stile di vita conquistato con profonda e autoriflessiva convinzione, a partire dall’acquisto della sua prima fotocamera, una Bencini Comet con la quale inizia a fotografare da autodidatta, grazie anche alle informazioni raccolte mentre porta a stampare nei laboratori i suoi primi rullini. Le prime sono immagini quotidiane e di famigliari, poi si fa strada un primo interesse specifico per le case rurali antiche, memorie visuali di storie e origini mai abbandonate. All’interesse per la fotografia, in particolare per Diane Arbus, si aggiunge quello per l’arte, trasmesso dalla madre e approfondito attraverso le pagine di Giulio Carlo Argan.

L’incontro determinante è però con l’opera e gli scritti di Ugo Mulas del quale la fotografa avverte tutta la carica innovativa e che personifica, ai suoi occhi, anche un’idea di libertà personale. Da un punto di vista tecnico si precisa la sua preferenza per il formato quadrato e, in particolare, per la Hasselblad, con la sua caratteristica ripresa dell’immagine dall’alto, non frontale, che è un modo per la fotografa di guardare dentro sé stessi e creare così un doppio sguardo, il proprio e quello dell’obiettivo.

Intorno al 1973, Nanda Lanfranco decide di frequentare, a Genova, un corso di studi privato che prevede un insegnamento dedicato all’arte contemporanea tenuto da Germano Celant. Sarà l’inizio di un’intima e silenziosa intesa mai interrotta che si trasformerà spesso in momenti di stretta collaborazione. Si precisano così quegli interessi che la spingono, nel 1975, a seguire e documentare, tra l’altro, le performance di Laurie Anderson a Genova e l’anno seguente, alla Biennale di Venezia, «Relation in space» di Marina Abramović e Ulay. La sua attività professionale vera e propria, però, ha inizio con la mostra di Michelangelo Pistoletto «L’alto in basso, il basso in alto, l’interno all’esterno», che si inaugura il 12 ottobre 1977 a Genova presso la Samangallery diretta da Ida Gianelli.

Parallelamente alla sua ormai avviata attività professionale, attraverso la quale la fotografa ha documentato performance, installazioni, esposizioni, spesso colte nel momento allestitivo, e soprattutto artisti e opere di tre decenni di arte contemporanea (dal 1983 anche per «Il Giornale dell’Arte», con le immagini delle maggiori mostre e rassegne internazionali d’arte contemporanea), Nanda Lanfranco continua la sua ricerca fotografica personale ormai indirizzata verso l’uso esclusivo del bianco e nero.

Prende forma così il lavoro sulla statuaria commemorativa del Cimitero monumentale di Staglieno di Genova e continua, nei primi anni Ottanta, con una serie di nature morte fotografiche con oggetti che emergono in maniera quasi impercettibile dal buio, sperimentazione estrema intorno alla sensibilizzazione alla luce, agli assetti compositivi e alla resa della tridimensionalità.

A partire dal 1985 e fino alla metà degli anni Novanta, realizza un ciclo di lavori dedicati ai Tarocchi, ricreando gli Arcani Maggiori e gli Arcani Minori sulla base di una personale ricerca simbolica e compositiva, quest’ultima legata al concetto di mise en abyme (Allemandi Editore, Torino 1995). Tra il 1987 e il 1989 nasce un nuovo ciclo fotografico intitolato Tempo rubato (Allemandi Editore, Torino 1989), nel quale, proseguendo il lavoro sull’emersione dell’immagine tra luce e ombra, prevale la figura umana, maschile e femminile.

Nel 1991 tiene una mostra ad Aosta, curata da Alvar Gonzaléz-Palacios, sulla sua produzione ritrattistica dedicata agli artisti con i quali ha lavorato, significativamente intitolata «Foto di gruppo». Risale sempre agli anni Novanta la creazione di una variazione sullo stesso tema, un ciclo di ritratti fotografici in coppia in cui al soggetto scelto dalla fotografa, in prevalenza persone incontrate lungo il suo percorso di lavoro, chiede di scegliere a sua volta la «presenza» con la quale farsi ritrarre.

Nel ricordare Nanda Lanfranco, non si possono dimenticare la sua ironia e il suo amore per i paradossi, un modo per ricordare a sé e agli altri, mentre camminava tra le piante in fiore del suo giardino, che poi il tempo passa davvero.
 

Nanda Lanfranco

Anna Costantini, 02 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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