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Michel de Certeau e i confini del dicibile

Alessandra Ruffino

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Fabula mistica, capolavoro di quel pensatore eccentrico che fu Michel de Certeau (1925-1986), è uscito in una nuova edizione curata da Silvano Facioni, tra i massimi conoscitori italiani dell’opera dello storico francese. Improntato alla contaminazione di varie discipline (psicanalisi, semiotica, critica letteraria, estetica, analisi politico-sociale...), il metodo di Certeau appassiona e istruisce per ampiezza e libertà di vedute. Al di là delle categorie, lo studioso ha prestato attenzione sistematica al carattere residuale di quelli che egli chiamava «oggetti scientifici instabili»: la memorialistica di viaggio, il formarsi del moderno mito del selvaggio, l’«invenzione del quotidiano» di cui è stato teorizzatore, figure d’interdetti & emarginati e, soprattutto, la scrittura mistica fiorita tra Cinque e Seicento. Si deve proprio a Certeau l’aver individuato nella mistica barocca una esatta figura storica della perdita: perdita di confini, di riferimenti, di unità o, come scrisse facendo sua una frase della Duras, un discorso che «offre strade a chi “domanda un’indicazione per perdersi”». La mistica, notava Facioni nel 2016 prefacendo l’edizione dell’incompiuta Fabula mistica II, «pianta nel cuore del corpo sociale l’istanza di un’alterità fatta di “rumori inquietanti” […] “preambolo dei castelli e dei teatri sotterranei di Sade”» e si fa teatro del conflitto tra sapere istituito e nuovi ordini del conoscere con inaudita potenza espressiva (ed eversiva), creando un linguaggio che integra fisiologia del delirio e patologia del desiderio in enunciati che, oltre le parole, scardinano i confini del possibile.

Le beffe di Bosch
A dar la misura dell’atipicità dell’autore potrebbe comunque bastare il saggio dedicato al «Giardino delle delizie» di Bosch, dove, scartando il consueto approccio all’arte del maestro, Certeau spiega come il pittore, insinuando ovunque lapsus, dismisura e inversione, renda «schiava la pulsione occidentale di leggere», facendo credere di celare chissà che sensi segreti mentre il senso del quadro sta nell’ostensione di un brulicante catalogo di cose, incubi, favole. Non sono le figure di Bosch a essere diaboliche, diabolica è l’astuzia con cui egli si fa beffe di tutti quegli spettatori che innanzi ai suoi quadri s’ingegnano a ricomporre i pezzi di un discorso che par loro in frantumi, senza accorgersi di essere di fronte alle singole voci di un dizionario (non a un racconto o a un poema) e senza aver chiaro, come lo era a Bosch e come lo sarà a Klee quattro secoli dopo, che «I quadri ci osservano».



Fabula mistica, di Michel de Certeau, nuova edizione a cura di Silvano Facioni con un saggio di Carlo Ossola, 432 pp., Jaca Book, Milano 2017, € 34,00

Un particolare del pannello destro del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch

La copertina del volume

Alessandra Ruffino, 14 novembre 2017 | © Riproduzione riservata

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