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MaXXI, una casa per gli artisti

Federico Castelli Gattinara

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I progetti di Bartolomeo Pietromarchi, con un Cda «tutto rosa»: più internazionalità (iniziando da Teheran) e spazio raddoppiato per la collezione

Lo scorso aprile, tra oltre 30 candidati, la Fondazione MaXXI ha scelto Bartolomeo Pietromarchi per la direzione di MaXXI Arte, uno dei due rami in cui si articola il museo insieme a MaXXI Architettura (sempre diretto da Margherita Guccione). Intanto il 20 giugno il Cda della Fondazione MaXXI ha approvato il bilancio consuntivo 2015, da cui emerge che la proporzione tra le spese di gestione e quelle per le attività culturali si è, negli ultimi tre anni, progressivamente allineata: dal rapporto 70 a 30 del 2012, quando si è insediato il Cda, alla parità dello scorso anno, raggiunta attraverso controllo della spesa e taglio dei costi.

Bartolomeo Pietromarchi. Foto di Cecilia Fiorenza. Courtesy Fondazione MaXXIRomano, classe 1968, Pietromarchi negli ultimi cinque anni ha guidato prima il Macro di Roma poi la Fondazione Antonio Ratti di Como, curando tra i due incarichi il Padiglione Italia della 55ma Biennale di Venezia (2013).

Che cosa porta dalle sue esperienze precedenti?

Per me è l’opportunità di mettere a sistema tutto quanto fatto finora, di elaborare una visione complessiva e istituzionale, una politica culturale mirata all’arte contemporanea. Che poi è la mission del museo, il suo ruolo, a partire dalla collezione: come interpretarla, implementarla, valorizzarla attraverso attività come educational, inclusione, circolazione, marketing, comunicazione. Non potevo augurarmi un luogo più giusto rispetto alla mia storia ed esperienza, ho sempre lavorato in termini culturali, curatoriali e concettuali sull’arte italiana, dalle sue radici storiche fino alla più stretta contemporaneità. 

Non è un’idea un po’ troppo ottocentesca, questa di un museo nazionale? Ha ancora senso oggi? 

Ha senso se è contestualizzata nel mondo e se questa identità si posiziona a livello globale: solo in questa prospettiva, fuori da ogni localismo. Il museo nazionale italiano del XXI secolo deve principalmente pensare agli artisti, non solo italiani. È un fatto che i nostri artisti abbiano avuto sempre scarso supporto e promozione. Io sono convinto che una delle responsabilità del museo vada in questa direzione. Del lavoro è stato fatto, voglio continuare con forza e sistematizzare in modo più chiaro questa linea. Mantenendo sempre come prospettiva il contesto internazionale.

Come si lavora in tre direttori? Non si rischia una confusione di ruoli?

No, il nostro è un progetto totalmente compatibile. Il direttore artistico Hou Hanru, specie con le mostre temporanee, ha già dato un’impronta estremamente internazionale al museo, con linee che affrontano l’attualità politica, sociale, antropologica, le grandi emergenze globali. I due aspetti, nazionale e globale, come pure il museo di architettura diretto da Margherita Guccione, già si compenetrano in una politica culturale complessiva. 

La sua priorità?

Ho avuto l’incarico dalla presidenza e dal Cda di dare priorità alla valorizzazione e promozione della collezione e per questo credo sia essenziale proseguire con ancora più forza il lavoro fatto sino a oggi sulle opere permanenti, che dall’inizio del prossimo anno avranno uno spazio doppio rispetto a oggi. Stiamo facendo una riflessione su uso e articolazione degli spazi, che cambieranno in modo sostanziale, legata anche a una riflessione profonda sulla collezione, che mi riguarda in prima persona. Ho pensato fosse importante individuare delle linee guida tramite cui rileggere e riarticolare la collezione, valide anche come linee di sviluppo futuro. Una di queste verte sullo spazio, l’habitat, l’environment, fino al paesaggio e allo spazio urbano. Un’altra è quella proposta dal direttore Hanru, geopolitica, dei grandi processi sociali, antropologici ecc. Sono percorsi a tema, con cadenza più o meno annuale. L’obiettivo è fare della collezione un dispositivo vivo e dinamico, realizzare l’offerta culturale del museo attraverso una serie di attività tra cui le mostre temporanee, l’offerta educativa, l’incontro diretto con i protagonisti e gli artisti, il marketing, la comunicazione. 

La collezione inizia ad avere una sua consistenza ma certo non è paragonabile ad altre raccolte internazionali.

Per questo è importante puntare sull’identità, la specificità, l’italianità ma in un contesto globale. Per esempio il fatto che gli artisti invitati a produrre opere per il museo spesso abbiano creato degli ambienti, è un aspetto particolare e non scontato della collezione. Se hai un nucleo identitario forte, tutte le attività collaterali, anche quelle meno pertinenti, sono accettate e accettabili. 

Curerà anche mostre?

Certo, per esempio quella della collezione del Museo d’arte contemporanea di Teheran, a marzo 2017, perfettamente in linea con la politica culturale del museo e con lo sforzo di renderlo più omogeneo, chiaro, immediato e accessibile. Accessibilità vuol dire leggibilità di linguaggi e processi dell’arte contemporanea a un pubblico più vasto, in un’ottica più sociale e pubblica.

Quale sarà il rapporto con i privati?

Un’istituzione del genere non può prescindere da un rapporto sano, trasparente con il privato. Con la mia esperienza intendo valorizzare quanto fatto, ho già messo in campo progetti molto concreti. Non ci si deve limitare a un rapporto economico, la condivisione della mission è fondamentale. Il collezionismo privato, per esempio, non si avvicina quasi mai al museo con i soldi ma con comodati e donazioni. Il modello è il Mart di Rovereto, con oltre 88 collezioni private depositate. Non è più pensabile oggi limitarsi alle acquisizioni, non avrebbe neanche senso. Lavorerò sul dinamismo della collezione, con artisti, produzioni, prestiti: questa dev’essere come una casa per gli artisti, una cosa che si è persa completamente. Metterò in campo strategie molto precise, concrete.

E con le altre istituzioni cittadine? Roma sull’arte contemporanea non è mai riuscita a fare sistema.

Ci sono ottimi rapporti consolidati che intendo valorizzare, per esempio con il vicino Auditorium e con la Gnam, con cui condividiamo per l’estate un biglietto scontato. Mi piacerebbe poi che si potesse riprendere una tradizione di altre epoche: far entrare nella collezione di un museo nazionale come il nostro le opere migliori della Quadriennale, finalmente tornata sulle scena artistica.

La collezione rimarrà gratuita?

Assolutamente sì, è una strategia vincente. I dati ci mostrano un incremento dei biglietti «staccati» (+15,8% a gennaio-maggio 2016 rispetto allo stesso periodo del 2015). Vedremo come articolarla, in modo che sia sostenibile.

Federico Castelli Gattinara, 13 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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