«Martin Parr e le sue fotografie possono farci sentire molto a disagio», scriveva tempo fa Val Williams. C’è troppo di noi nelle sue inquadrature: nell’ordinarietà che diventa caricatura, nell’esibizionismo del cattivo gusto, in un mondo dove la mediocrità si riscatta nel kitsch più esasperato.
Celebrato cronista dell’umanità, del suo modo di vivere, lavorare, divertirsi, mangiare, vestirsi, andare in vacanza, da oltre quarant’anni il fotoreporter britannico (1952) targato Magnum, utilizza la fotografia da antropologo, come «un collezionista di volti, di gesti e di indiscrezioni sociali», per osservare da vicino i tic della cultura del consumismo di massa.
Dal 7 marzo al 27 maggio la National Portrait Gallery gli rende omaggio con «Only Human: Martin Parr» (catalogo Phaidon), retrospettiva a cura di Phillip Prodger che ne ripercorre la carriera attraverso le opere più note e le più recenti ancora inedite. In questa mostra esplora l’identità dei suoi connazionali, una Britishness che Parr cerca sia nel Regno Unito che all’estero, dedicando anche una sezione al clima creato dalla Brexit, in attesa dell’uscita dall’Europa prevista proprio in marzo.
Nella carrellata che riprende il tempo libero, le spiagge, i tornei di tennis, le corse, il ballo, si inserisce anche la nuova indagine sui rituali che resistono nelle istituzioni inglesi, oltre a una selezione dei suoi autoritratti surreali, e a quella, mai esposta prima, di ritratti a personaggi come Vivienne Westwood, Paul Smith e Tracey Emin
Intanto prosegue fino al 22 aprile «Return to Manchester», la personale alla Manchester Art Gallery, che presenta immagini realizzate da Parr nella città dove ha studiato e dove fa spesso ritorno. Il percorso va dagli esordi in bianco e nero al lavoro commissionato nel 2018 sulla vita dei Mancuniani.
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