Marisa Merz ermetica e poetica

Una retrospettiva alla Collezione Olgiati curata dalla figlia Beatrice

Un’opera di Marisa Merz senza titolo e senza data della collezione dell’artista. © Renato Ghiazza. Cortesia della Fondazione Merz
Franco Fanelli |  | Lugano

«La marginalizzazione socioculturale ha impedito che le sue opere circolassero e ottenessero il debito riconoscimento»: così Tommaso Trini, profondo conoscitore dell’opera di Marisa Merz spiegava l’anomala collocazione in sede istiuzionale e sul mercato dell’artista torinese (1926-2019), da poco scomparsa. A quella data, lei era ancora per molti soprattutto la moglie di Mario Merz, eccentrica rispetto al nucleo storico dell’Arte povera (Germano Celant non la cita mai nei suoi saggi degli anni Settanta).

Ma occorre aggiungere che lei stessa, che aveva avuto la sua prima personale nel 1967 nella galleria di Gian Enzo Sperone a Torino, e che sino al ’75 venne seguita e sostenuta da un altro gallerista di punta come Fabio Sargentini, preferì via via ritrarsi in una posizione coerente, del resto, con la sua poetica, lirica ed ermetica, accettando gli inviti a diverse edizioni della Biennale di
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