Mario Merz solitario, visionario e anarchico

Retrospettiva al Palacio de Velázquez di Madrid con una sessantina di opere ben selezionate

Mario Merz davanti all’Igloo fontana, Torino, 2003. © The Sankei Shimbun
Franco Fanelli |  | Madrid

Come presentare Mario Merz (Milano, 1925-Torino, 2003), un artista «appartenente all’ultima generazione di visionari, solitari e nomadi che crea dal caos, considerando la pulsione interiore come criterio primario», secondo la definizione del suo grande estimatore (e similmente anarchico) Harald Szeemann?

Conviene puntare sulla lettura postmoderna che lo individua come interprete di una cronologia circolare, di una storia ciclica, capace di evocare le due polarità di preistoria e futuro («Mario Merz. Il tempo è muto» è il titolo della rassegna)? O piuttosto connettere, come sarebbe di moda oggi, la sua opera a una temperie e a una visione politiche?

In effetti l’incarnazione di Merz come artista neoromantico proposta da Szeemann consentirebbe entrambe le tesi, ambedue evidenziate da una retrospettiva aperta dal 10 ottobre al 29 marzo al Palacio de Velázquez, sede distaccata del Museo Nacional
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