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Malinconia a Disneyland

Skulptur Projekte pensosa e introspettiva

Skulptur Projekte è unica tra le grandi rassegne d’arte contemporanea. Questa mostra dedicata alla scultura all’aperto si svolge solo ogni dieci anni e ha quindi un diverso rapporto con le correnti e le tendenze del mondo dell’arte rispetto alle biennali. In Kasper König ha avuto il suo direttore sin dalla prima edizione nel 1977: il curatore tedesco conosce la città, la sua storia, la sua architettura, la sua popolazione e la sua topografia più di chiunque altro al mondo.
König è consapevole che questa città della Germania nord-occidentale è un luogo improbabile per una mostra di punta sull’arte contemporanea.

«È molto particolare perché è una specie di Disneyland, in senso negativo», spiega. Dopo la distruzione del 92% della città medievale durante la seconda guerra mondiale, fu ricostruita com’era e ora «è un falso storico, è quasi una città postmodernista ricostruita». König aggiunge che «dal punto di vista sociologico è strana: è molto liberale ma ha anche una vena fortemente repressiva nel suo liberalismo. La città ha una parvenza di amabilità, ma c’è anche il rovescio della medaglia. Tutto ciò la rende un luogo interessante per riflettere sul cambiamento del gusto e il ruolo dell’arte nella società». Quest’anno, per la prima volta, la rassegna si estende oltre i confini della città, con qualche opera presentata a Marl, a 50 km di distanza.

König racconta interessanti storie sugli artisti a Münster nel corso degli anni. Come quella su Joseph Beuys, che nel 1977 inizialmente rifiutò l’invito, dicendo che «fare opere all’aperto è ecologicamente kitsch», ma poi si presentò lo stesso perché, disse, «non dobbiamo lasciarla agli americani» (in mostra c’erano tra gli altri Donald Judd e Carl Andre). Da quei primi anni, quando veniva trattata con sospetto, la rassegna è stata accolta a braccia aperte dai residenti e dal mondo dell’arte. Di recente König ha resistito alle pressioni della città e della provincia della Westfalia di proporla ogni cinque anni. 

Se König è il regista, i curatori «sul campo» della rassegna, che si svolge dal 10 giugno al primo ottobre, sono Britta Peters e Marianne Wagner. König ha scelto gli artisti insieme a loro, ma afferma che la decisione finale «non è stata democratica; opponevo sempre un veto». L’elenco dei 35 artisti (unica italiana Lara Favaretto) denota un forte cambiamento rispetto alle prime edizioni. «L’idea era che dovessero esserci più donne, dichiara König, e ora il numero si è pressoché bilanciato, con due soli uomini in più rispetto alla rappresentativa femminile».

Sono presenti tre generazioni, dall’artista rumena Alexandra Pirici, nata nel 1982, a Hreinn Fridfinnsson, nato in Islanda nel 1943. Il progetto costa otto milioni di euro, di cui sei pagati con i soldi dei contribuenti e due dagli sponsor. Tra gli higlight, una nuova grande opera di Pierre Huyghe collocata in una pista di pattinaggio su ghiaccio in disuso, che König mette in relazione con la grandiosa Land art di Walter de Maria e Robert Smithson.

Molti altri sono invece più modesti: il nigeriano Emeka Ogboh, presente anche a Documenta, è interessato al «gusto di una città» e preparerà una birra speciale a Münster e un’altra a Kassel. Ogboh inoltre realizzerà un’opera sonora per un tunnel nei pressi della stazione centrale, ispirata al compositore e poeta statunitense Moondog, che è sepolto a Münster. Jeremy Deller continuerà il progetto intrapreso nel 2007 in collaborazione con gli utilizzatori del locale orto comunale, assegnatari di un lotto di terreno che hanno tenuto «diari naturali» delle loro attività negli ultimi dieci anni. Anche se il carattere delle opere è molto vario, König parla di un denominatore comune: «La qualità è molto alta, perché non c’è un’opera che dica “Ehi, guardami, sono una scultura!”. Sono tutte riflessive, hanno tutte una sorta di malinconia. E non sono frutto del consumismo. Corriamo dei rischi, ma è il nostro lavoro; restiamo vicini agli artisti».

Ben Luke, 05 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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Malinconia a Disneyland | Ben Luke

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