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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliAssisi (Perugia). La corrente che nel 1927 lo scrittore Massimo Bontempelli inquadrò come «realismo magico», rivisitata con un focus sul pittore umbro Riccardo Francalancia (1886-1965), è il tema di una mostra dal leopardiano titolo «Una profondissima quiete. Francalancia e il ritorno alla figura tra de Chirico e Donghi».
Aperta al Palazzo Bonacquisti sino al 4 novembre e organizzata dalla Fondazione CariPerugia Arte, è curata da Vittorio Sgarbi, Beatrice Avanzi, direttrice artistica del Musée Jacquemart-André di Parigi, e Michele Dantini, docente di storia dell’arte contemporanea all’Università per Stranieri di Perugia.
Francalancia nacque ad Assisi in una famiglia di possidenti terrieri; nel 1919 lasciò l’impiego in banca per dedicarsi alla pittura e negli anni Trenta lavorò a Roma. Dipinse nature morte con pani o beccacce, figure femminili, paesaggi nei quali la critica riconobbe una «rarefazione metafisica» e richiami alla pittura senese e a Mantegna (nella foto, «Interno melanconico», 1928).
Beatrice Avanzi in catalogo (Fabrizio Fabbri Editore) cita «i primi paesaggi e le numerose vedute della campagna umbra, dove il primitivismo, che affonda le sue radici nell’arte del Tre e Quattrocento (Longhi rievocherà a questo proposito Masolino), è pervaso di mistero e incanto».
Alle radici del realismo magico la studiosa colloca Giorgio de Chirico, presente con un dipinto del 1921 e uno del 1927-28. Tra gli altri figurano in mostra dipinti di Felice Casorati, Corrado Cagli, Edita Broglio, Cagnaccio di San Pietro e Scipione.
Riccardo Francalancia, «Interno malinconico», 1928, Collezione Valerio De Paolis
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