Lemaniani da 16 Nazioni

Andrea Bellini ha selezionato 59 artisti «lacustri» contemporanei

«She Knew It» (2020), di Azize Ferizi (dettaglio). Courtesy of the artist.
Luana De Micco |  | Ginevra

«Lemaniana. Riflessi di un’altra scena» è una mostra del Centre d’Art Contemporain Genève (fino al 15 agosto) nata come un’inchiesta sulla produzione artistica della regione del Lago Lemano. Lo scorso autunno il centro d’arte ha lanciato un invito a presentare progetti ricevendo ben 829 dossier, tra cui sono stati selezionati 59 artisti, duo e collettivi. Ne abbiamo parlato con Andrea Bellini, il direttore del centro d’arte all’origine del progetto.

È la prima volta che si porta avanti un’indagine locale come questa?
L’idea della mostra regionale, che può sembrare curiosa in Italia, è nel Dna stesso delle Kunsthalle, delle fondazioni private, alcune molto antiche, come quella di Basilea, nata nel 1872, create da associazioni di artisti locali. Pur realizzando mostre a vocazione internazionale, questi centri d’arte, nascendo dal basso, mantengono quindi un interesse intrinseco per il territorio. Un sistema molto diverso per esempio da quello francese dei Frac, frutto di una decisione centralizzata dall’alto.

Detto questo, no, non è la prima mostra sulla scena locale, ma è la prima volta in cui abbiamo deciso di far evaporare i confini politici aprendoci a tutto l’arco lemanico, anche alla vicina Francia, dati i tanti studenti francesi che vengono all’Ecal di Losanna, ma anche all’Italia. Abbiamo voluto pensare alla regione come a un ecosistema e fare di «Lemaniana» l’espressione di questa cultura al tempo stesso locale e internazionale, propria alla Svizzera, un paese dove quasi la metà degli abitanti viene da fuori
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Avete ricevuto una pioggia di candidature. Come avete fatto la selezione?
Innanzi tutto è una questione di metodo. Non volevo fare una mostra sulla regione che fosse il solo riflesso della mia visione. Volevo che fosse costruita in modo collegiale. Ritengo che il mondo sta vivendo una trasformazione epocale, con le grandi questioni del nostro tempo, razziale, femminista, di genere, che stanno cambiando la percezione del sistema di potere: la società patriarcale, con la sua visione binaria del mondo uomo-donna, è ormai contestata.

In ogni settore si sente bisogno di collegialità. Questo processo è in corso anche nelle scuole d’arte svizzere, tra le migliori del mondo, dove alla figura del direttore unico si comincia a preferire quella del collegio di esperti. Volevo che «Lemaniana» fosse espressione di questa nuova sensibilità. Abbiamo quindi lanciato un’open call aperta a tutti, autodidatti, pittori della domenica, studenti. Ci aspettavano 400 dossier. La selezione, sulla base del portfolio, l’abbiamo realizzata in quattro, insieme a Mohamed Almusibli, Jill Gasparina e Stéphanie Moisdon
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Chi sono gli artisti?
Per la maggior parte sono molto giovani, alcuni ancora studenti, ma con un linguaggio molto maturo. C’è anche qualche ultraottantenne. Sono di 16 nazionalità, Brasile, Egitto, Iran, Tailandia, Regno Unito. Gli italiani sono 8. Presentiamo solo opere recenti, perlopiù realizzate durante la pandemia. Poiché gli artisti hanno avuto molti problemi economici in questo periodo, abbiamo deciso di applicare un fee di 600 franchi a opera e 1.500 a performance, che in più produciamo. Abbiamo investito molto su questa mostra, che aprenel colpo di coda della pandemia. Volevo che fosse esemplare.

Quali  temi emergono?
Non c’è nessun ready-made. Emerge un ritorno forte alla manualità e alla pittura figurativa, quasi narrativa, come nei quadri di Azize Ferizi, a ispirazione femminista e punk. C’è una presenza importante di video, spesso in formato verticale, come lo smartphone: è il caso dell’installazione su due maxischermi di Francesco Cagnin e Lorenza Longhi, che riflettono su questioni di attualità politica e culturale. I malinconici video di Oélia Gouret e Lucas Ballester si occupano della mancanza dello stare insieme in questi mesi di pandemia.

Potrei citare anche Stefania Carlotti, che realizza affascinanti maquette di architettura un po’ distopiche, e gli scatti di Mathilde Agius, una serie di ritratti della Svizzera che rivisitano i cliché. «Lemaniana» intende riscrivere l’immagine tradizionale, pastorale e conservatrice, del Paese. Ne emerge un’immagine moderna di una Svizzera internazionale e aperta alle questioni del nostro tempo
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© Riproduzione riservata Andrea Bellini. Foto Francesco Nazardo «James in Gawaling Haus» (2020), di Mathilde Agius. Courtesy of the artist. «La vie est une fête» (2020), di Oélia Gouret (dettaglio). Courtesy of the artist. Untitled (work in progress) (2020), di Stefania Carlotti (dettaglio). Courtesy of the artist.
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