«Mountain, Anaheim» (2013) di Thomas Struth. © Thomas Struth

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«Mountain, Anaheim» (2013) di Thomas Struth. © Thomas Struth

Le immacolate visioni concettuali di Thomas Struth

Il Guggenheim Bilbao ripercorre 50 anni di carriera di uno dei fotografi europei più influenti del dopoguerra

L’essere umano e le sue relazioni con la città e la natura, la famiglia e la società, l’arte, la cultura e le nuove tecnologie, sono i protagonisti delle immagini di uno dei fotografi europei più influenti del dopoguerra, Thomas Struth (Geldern, 1954), cui il Museo Guggenheim di Bilbao dedica un’ampia retrospettiva.

La mostra, aperta dal 2 ottobre al 19 gennaio, permette di ripercorrere tutto il percorso creativo di Struth, mettendo in relazione le intuizioni dei suoi inizi con le serie che l’hanno reso famoso come «Unconscious Places», «Family Portraits», «Museum Photographs», «New Pictures from Paradise», «Audience» e «This Place», che a loro volta stabiliscono un dialogo con le sue proposte più sperimentali e le opere recenti, tra cui «Nature & Politics», «Animals» e le foto di paesaggi e fiori realizzate per l’ospedale Lindberg di Winterthur. In tutte, indipendentemente dal soggetto o dal momento in cui sono state realizzate, il fotografo tedesco affronta questioni fondamentali come l’instabilità delle strutture sociali e la fragilità dell’esistenza umana, capaci di suscitare la partecipazione e l’empatia del pubblico. «Le relazioni che si stabiliscono tra lavori diversi, sottolinea Lucía Agirre, curatrice della mostra con il berlinese Thomas Weski, evidenziano la capacità di Struth di combinare l’analisi concettuale, l’approccio etico e l’innovazione tecnica in opere di grande potere visivo».

Tra le fotografie in mostra spicca l’unico autoritratto di Struth, che nel 2000 si è immortalato mentre contemplava l’autoritratto di Dürer della Pinacoteca di Monaco. L’opera è parte di «Museumsbilder», una serie iniziata agli inizi degli anni ’90, che gli permette di unire la passione per la pittura alla fotografia, e al tempo stesso di esplorare la relazione tra opera e spettatore e tra passato e presente. Spettacolare l’immagine de «La Liberté guidant le peuple» di Eugène Delacroix, ripresa in una specie di scenario cinematografico al Museo di Tokyo, in una delle sue rare uscite dalla Francia.

Nel 2004 su invito di Franca Falletti, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze, che gli commissiona un’opera per commemorare i 500 anni del David di Michelangelo, Struth cambia la prospettiva e ritrae il pubblico che contempla la scultura che non appare nella foto. Mettendo a fuoco le reazioni del pubblico, Struth sancisce il valore atemporale dell’opera assente e l’effetto che continua a provocare in chi la contempla: è nata così la serie «Audience», che continua con i primi piani di persone che ammirano la «Madonna Benois» di Leonardo all’Ermitage o i dipinti di Velázquez al Prado.

Un altro punto forte è la sala che accoglie l’archivio di Struth, che è stato esposto solo una volta prima d’ora, e offre una visione cronologica completa dei processi di creazione dell’artista e dell’evoluzione della sua ricerca, attraverso negativi, bozzetti, inviti, poster, foto di amici, disegni di gioventù, diari e corrispondenza con curatori e altri intellettuali e artisti. L’industria aerospaziale, la produzione di energia, la ricerca medica, l’intelligenza artificiale e la robotica sono alcuni dei soggetti protagonisti delle foto più recenti, che chiudono il percorso insieme a «Animals», animali morti che l’artista rappresenta con grande dignità e sensibilità.

«Mountain, Anaheim» (2013) di Thomas Struth. © Thomas Struth

Roberta Bosco, 03 ottobre 2019 | © Riproduzione riservata

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