«Non si tratta di decorare il mondo, ma di assumersi delle responsabilità». Così Olafur Eliasson, artista danese-islandese di stanza a Berlino, classe 1967, ha dichiarato a proposito del suo lavoro in un Ted Talk del 2009. Nella sua produzione i confini tra arte, architettura, design, scienza e azione sociale si confondono l’uno nell’altro.
Sedici anni dopo la presentazione della ciclopica installazione «The Weather Project» (2003), un enorme sole artificiale installato all’interno della Turbine Hall della Tate Modern, il museo londinese ospita la più ampia antologica sinora dedicata a Eliasson. La mostra («Olafur Eliasson: In Real Life», dall’11 luglio al 5 gennaio), a cura di Mark Godfrey, senior curator of International Art, ed Emma Lewis, assistant curator, raccoglie 30 lavori realizzati nell’arco di tre decenni, dalle prime indagini dei fenomeni naturali, come «Moss Wall» (1994), un muro completamente ricoperto di una specie di lichene islandese, a «Stardust Particle» (2014), scultura composta da due poliedri irregolari, l’uno incorporato nell’altro, che riflette sulle dinamiche della percezione umana.
Il fulcro del progetto espositivo è rappresentato da interventi che affrontano temi sociali e ambientalisti. Fra questi «Little Sun» (2012), con cui lampade a energia solare vengono fornite a comunità prive di accesso all’elettricità, e «Ice Watch» (2014-18), un’installazione composta da blocchi di ghiaccio provenienti dalla Groenlandia, il cui processo di disfacimento allude alla minaccia del cambiamento climatico.
Per tutta la durata della mostra, un menù di ricette basate su ingredienti vegetali, bio e sostenibili, concepito in collaborazione con il team di chef della cucina dello studio berlinese dell’artista, verrà servito nel Terrace Bar del Blavatnik Building.
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