La svolta «spirituale» di Michelangelo

L’ultimo libro di Antonio Forcellino getta una luce nuova sui tre decenni finali della vita del maestro rinascimentale (1475-1564), dal Giudizio Universale alla Cappella Paolina

«La Crocifissione di san Pietro» (1545-50) di Michelangelo Buonarroti, Città del Vaticano, Cappella Paolina
Marco Bussagli |

È di queste settimane l’uscita, presso Laterza, dell’ultimo libro di Antonio Forcellino che getta una luce nuova sui tre decenni finali della vita di Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Il volume è frutto di decenni di studi e di restauri, dalla tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli a Roma, fino all’individuazione della tavoletta con la «Pietà» dipinta per Vittoria Colonna. Ne parliamo con l’autore.

Professor Forcellino, non è questo il primo libro che dedica a Michelangelo. È emersa qualche novità?
Negli ultimi vent’anni ho avuto modo di frequentare molto Michelangelo, avendo restaurato alcune sue opere fondamentali, e mi sono convinto che a partire dalla Tomba di Giulio II c’è una vera e propria svolta nella produzione artistica e nella personalità di Michelangelo. Questa svolta è impossibile da comprendere se non si considera la complessa storia religiosa nella quale si immerge l’artista in quel periodo e questo non mi sembra che sia mai stato fatto con la dovuta cura da parte né degli storici, né degli storici dell’arte. Entrambi si sforzano di tenere fuori Michelangelo da quel contesto così turbolento della metà del secolo, quasi che le sue relazioni umane e intellettuali potessero costituire una distrazione dalla fruizione della sua arte.

Lei pone l’accento sul rapporto fra Michelangelo e il circolo degli «Spirituali» a Viterbo. Perché?
Il rapporto di Michelangelo con gli Spirituali è molto importante perché dalla condivisone di quella nuova religiosità che li accomunava (che sarà infine dichiarata eretica dall’Inquisizione e da Paolo IV) l’artista trae ispirazione per i suoi ultimi capolavori. Senza la condivisione di fede con gli Spirituali non sarebbero nate la Cappella Paolina e la violenta bellezza della «Pietà» dipinta per Vittoria Colonna, nella quale l’artista abbandona il canone rinascimentale a favore di una nuova e più profonda espressione del dramma psicologico.

André Chastel, nel suo celebre libro (la prima edizione è uscita per Einaudi nel 1983, Ndr), pone l’orrore del Sacco di Roma del 1527 in relazione alla committenza del «Giudizio Universale» da parte di Clemente VII. Lei è d’accordo?
Sono d’accordo. Clemente VII si sente in parte responsabile del Sacco di Roma e cerca una forma di espiazione che sia anche condivisibile, ovvero comunicabile nel modo più largo possibile. L’unico uomo al mondo che poteva garantirgli un tale risultato era Michelangelo. Aveva ragione.

I restauri di Maurizio De Luca hanno dimostrato che i chiodi presenti nella «Crocifissione di san Pietro» dipinta dal Buonarroti nella Cappella Paolina sono successivi alla stesura dell’affresco. Che cosa vuol dire?
L’assenza dei chiodi nella «Crocifissione di san Pietro» è il punto più estremo nel quale si è spinto Michelangelo con la sua arte. È un’anticipazione di quella che oggi definiamo arte concettuale: una riflessione stimolata da un’immagine che sostituisce la riflessione raccontata dall’immagine. L’osservatore deve chiedersi: ma se non ci sono i chiodi a tenere fermo Pietro sulla croce che cosa lo tiene su quel legno? La Fede è la risposta che suggerisce Michelangelo.

Quale eredità ci lascia quest’ultimo Michelangelo?
Il coraggio di andare oltre il limite e la certezza che solo una vera dedizione totale all’arte e alla tecnica, intesa come rigore esecutivo, può garantire il risultato della ricerca artistica. Oltre naturalmente a un mondo di immagini che ha preso inesorabilmente possesso della mente di milioni di uomini. 

L’ultimo Michelangelo. Dal Giudizio Universale alla Cappella Paolina,
di Antonio Forcellino, 208 pp., ill., Laterza, Bari 2022, € 25

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