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Dopo la tappa al Louvre, al Castello Sforzesco la più alta tradizione scultorea rinascimentale in 120 opere ispirate all’antico
- Ada Masoero
- 24 luglio 2021
- 00’minuti di lettura


Donatello, «Compianto su Cristo morto», 1455-1460 ca, Londra, Victoria and Albert Museum
La riscoperta del corpo, la sfida delle emozioni
Dopo la tappa al Louvre, al Castello Sforzesco la più alta tradizione scultorea rinascimentale in 120 opere ispirate all’antico
- Ada Masoero
- 24 luglio 2021
- 00’minuti di lettura
Arrivata dal Louvre, che l’ha promossa con Milano|Cultura e con la Soprintendenza del Castello Sforzesco, il 21 luglio si è aperta, nelle Sale Viscontee del Castello Sforzesco, l’attesa mostra «Il Corpo e l’Anima, da Donatello a Michelangelo. Scultura italiana del Rinascimento» (visibile fino al 24 ottobre, catalogo Officina Libraria).
Le sue 120 opere, di maestri e comprimari della scultura del Rinascimento, provengono in grandissima parte dai due musei che l’hanno organizzata, oltre che dal Museo Nazionale del Bargello di Firenze e dal Victoria and Albert Museum di Londra, cui si aggiungono prestiti di istituzioni come il Metropolitan di New York, il Kunsthistorisches di Vienna, il Prado di Madrid e le Collezioni di Elisabetta II.
I curatori Marc Bormand del Louvre, Beatrice Paolozzi Strozzi, già direttrice del Bargello, e Francesca Tasso del Castello Sforzesco, hanno scelto il tema dell’inedita relazione che nella scultura rinascimentale (ma anche in pittura, nel disegno, nelle arti decorative) s’intreccia tra il corpo umano finalmente «riscoperto» e i «moti dell’anima» di Leonardo.
«Sarebbe stato impossibile sintetizzare in una mostra 60 anni di scultura del Rinascimento. Era indispensabile scegliere un filo rosso e abbiamo deciso di puntare sull’influenza della scultura antica, letta attraverso il filone di quelli che Leonardo definirà “moti dell’animo”. Se nella prima metà del ’400 c’è un ritorno al realismo della figura, subito dopo s’impone la sfida di restituire le emozioni, dalle passioni dionisiache alla grazia apollinea praticata da pittori come Perugino e Botticelli, ma anche dagli scultori, non solo in Toscana ma anche in Lombardia e nel Veneto».
Perché dopo l’incipit, dominato dalla sola Firenze, dalla seconda metà del secolo tra Venezia e Roma, Siena e Bologna, Padova e Mantova, Milano e Pavia, le innovazioni del linguaggio fiorentino fecondano le tradizioni locali. Ecco allora che in mostra, tra le opere di Donatello e Michelangelo, che con il loro magistero aprono e chiudono il percorso, sfilano le sculture sacre e profane di Tullio Lombardo, Bertoldo di Giovanni, Antonio Pollaiolo, Bambaia, Francesco di Giorgio, Guido Mazzoni, G.A. del Maino, Sansovino, Cristoforo Solari e molti altri, in un’imperdibile ricognizione della nostra più alta tradizione scultorea rinascimentale.

Donatello, «Compianto su Cristo morto», 1455-1460 ca, Londra, Victoria and Albert Museum